Le Mans il ritorno della Ferrari

Dopo 50 anni la Ferrari si presenta a Le Mans esordendo nella categoria Hypercar

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Le Mans il ritorno della Ferrari
Le Mans il ritorno della Ferrari

Le Mans il ritorno della Ferrari. “Devi imparare a capire in qualche modo dov’è quel limite … laggiù c’è il giro perfetto, nessun errore: ogni cambio di marcia, ogni curva, tutto perfetto. Lo vedi? Quasi nessuno ci riesce, la maggior parte non sa nemmeno che c’è, pero c’è.” Così Christian Bale, nei panni di Ken Miles, si rivolge al figlio durante una scena di Le Mans ’66 – La grande sfida. Il pilota matto, fuori dagli schemi, che in poche settimane è catapultato dalle polverose gare americane di Willow Spring alla solennità europea della cerimonia di Le Mans. Scelto perché il protagonista Carrol Shelby (Matt Damon) lo ritiene l’unico, il prescelto, per trovare quel giro perfetto, quella precisione millimetrica. Perché è ciò che serve per vincere a Le Mans, sapienza tecnica e guida impeccabile. Il focus principale che ruota intorno alla pellicola è però una “guerra tra mondi”: da un lato la Ferrrari dominante, dall’altro la “grossa, brutta fabbrica” che produce “brutte, insignificanti macchine”, la Ford. Proprio quell’annata cambierà definitivamente la percezione della 24ore, elevandola ad un definitivo palcoscenico universale. Negli anni si sono succedute la Porsche, l’Audi, la Toyota, la Peugeot, la Ford. Se per anni l’endurance è rimasto al passo con la F1, lo si deve a Le Mans; oggi tuttavia è impensabile solo dirlo. Ma la Ferrari ha deciso: non solo macchine in dotazione all’AF Corse, vuole tornare lei stessa nella categoria più ambita – e tecnologicamente avanzata – del WEC, quella delle Hypercar.

Le Mans il ritorno della Ferrari, la 499P  

La forma è quella classica delle Hypercar: sinuosa ma retta, grave ma dolce. L’abitacolo posto al centro è un cupolino perfetto ai lati del quale si affermano pance definite e rettangolari. Sopra la testa del pilota campeggia la scritta nera Ferrari impressa con il carattere canonico. Dal cupolino parte una pinna di carbonio che finisce per appoggiarsi sull’alettone dentato tinto del bellissimo giallo Ferrari. Le prese d’aria sulle pance e sul muso quasi sembrano branchie. Il numero è vecchio stile: bianco su sfondo rosso inserito in una finitura circolare. In ultimo, la striscia verticale tricolore sul main plane sembra quasi fare la linguaccia agli avversari. La prova dell’estetica è superata: è bellissima. Ora un po’ di tecnica. Il motore è un V6 ibrido con 2 turbocompressori in parallelo per un totale di 2994 cm³ di cilindrata: la potenza sprigionata è di 680 CV/500 KW. La parte elettrica è formata da un pacco batterie da 200 V erogante un totale di 272 CV, ma entra in funzione dopo i 120 Km/h non andando quindi a influire sulla trazione. In sintesi una perfetta doppia alimentazione. Lo spazio tra il main plane e l’inizio del muso è minimo rispetto alle forme solite: gli end plate laterali sono molto più vicini al suolo creando una forma a doppio arco sotto la quale vengono convogliati i flussi. Questi due flussi, ben distinti, scorrono fino al posteriore ricalcando grossomodo la tecnologia dei canali Venturi. Il diffusore accentua non solo questo aspetto ma anche la differenza d’altezza tra anteriore e posteriore, tipicamente associata alle vetture ad effetto suolo. La macchina è disseminata di pinne, non tutte con funzione aerodinamica particolarmente influente, mentre altre servono per convogliare aria all’interno. Attraverso la tecnologia outwash alcune di queste riescono a dare una direzionalità duplice al flusso: al motore e sul telaio. Grazie a queste specifiche gli ingegneri sono certi di aver trovato il giusto compromesso tra carico verticale e resistenza all’avanzamento, permettendo di lavorare in ottica baricentro e distribuzione del peso. Bella è bella, veloce sarà veloce? Lo scopriremo a giugno.

Le Mans il ritorno della Ferrari, il circuito

“Bellissimo”: così il Drake dopo l’ennesimo giro veloce di Ken Miles, sulla stessa macchina che aveva definito “insignificante”. Quel weekend di qualche decade fa, nel tentativo di stare attaccate alle Ford, le Ferrari di Bandini e Scarfiotti sono costrette ad un doppio ritiro. Ma Enzo Ferrari non può non riconoscere quanto sono belle, veloci e imprendibili le macchine americane. Da quel momento in poi la storia della 24ore è mutata: la Ferrari rimase a secco fino al ’72, quando decise di abbandonare l’endurance per dedicarsi interamente alla F1. Per questo oggi, a distanza di 50 anni, il ritorno della Rossa su questo palcoscenico sa più che mai di sfida. Riuscirà la casa di Maranello a presentarsi subito come protagonista vicino alle Toyota e alle Peugeot? Molto dipenderà dall’adattamento dei piloti al tracciato in questa nuova veste, dopo anni ad altissimi livelli nelle GT. E soprattutto, per una gara di durata che si definisca tale, dipenderà dalle condizioni: il Circuit de la Sarthe sul quale dovranno girare giorno e notte potrebbe regalarci le solite peripezie. Ma in fin dei conti la bilancia delle ambizioni sarà misurata sull’infinito rettilineo diviso dalla chicane: se i ragazzi in rosso sentiranno il motore non lamentarsi sotto il pedale, già potremmo gridare alla macchina affidabile. Sebbene nessuno dei nostri papabili piloti sia alla ricerca della Triple Crown, una semplice vittoria riporterebbe la Ferrari al piano alto del Motorsport, quell’attico – ormai da qualche anno – occupato dai più disparati interpreti. Imporsi dopo 50 anni sarebbe una bella smargiassata. Sono sicuro di una cosa: il Drake vorrebbe che fosse veloce, il resto verrà da se.