I Racconti di Sandro Albani

alessandro albani
alessandro albani

Di seguito i racconti di mio Zio Alessandro Albani, morto prematuramente a Febbraio 2020.
Grande appassionato di Vela ed auto-costruttore di catamarani a Vela.

Federico Albani – Editore News-Sports.it

 

________________________________________________________________________

 

Alfred.

1° episodio

Alfred si iscrisse alla 5°B del Liceo “G. Rossini”.

Nessuno sapeva da quale istituto scolastico provenisse.

Con il suo carattere scontroso, non legò con nessuno dei ragazzi e ragazze dell’istituto.

Ciò nonostante, il suo fisico atletico gli permise di dedicarsi a molte attività sportive con discreto successo.

Un giorno accadde che il difensore della squadra di calcio che rappresentava la sua classe al campionato dell’istituto, si infortunò.

Alfred subito si propose, dicendo che aveva giocato, precedentemente, come difensore in molte squadre di altri istituti.

Fù preso nella squadra.

Negli incontri preliminari, Alfred si comportò benissimo, permettendo alla sua squadra di giungere all’incontro finale.

La squadra avversaria, nell’incontro finale, era la più forte dell’istituto, dotata di formidabili attaccanti.

Iniziò la partita.

Nel corso del primo tempo, Alfred e gli altri difensori riuscirono ad opporsi agli innumerevoli attacchi sferrati dagli avversari.

Il primo tempo finì 0 a 0.

Iniziò il secondo tempo.

Gli attacchi degli avversari divennero ancora più intensi.

Alfred riuscì, con maggior fatica, a contrastarli.

Giunti allo scadere dei tempi regolamentari, il centravanti della squadra avversaria ricevette una palla nella zona centrale  dell’aria di rigore.

Si apprestò a tirare in porta.

Alfred gli si parò di fronte.

Lui cercò di evitarlo con uno scarto laterale.

Fù a quel punto che Alfred sferrò, con la punta dello scarpino, un violentissimo calcio al ginocchio dell’avversario.

Si udì un rumore secco.

La gamba si era spezzata in due.

Una luce sinistra apparve negli occhi di Alfred.

Gli dava un’espressione malefica nel viso.

Tutti si precipitarono verso il giocatore infortunato e gli prestarono i primi soccorsi.

Alfred fù espulso e radiato da tutte le attività calcistiche.

2° Episodio

Passò del tempo.

Alfred, dopo che i rancori verso di lui si erano moderatamente sedati, si iscrisse ad una palestra che praticava la lotta greco romana.

Dimostrò, fin dai primi incontri, di essere molto portato verso questo sport.

Alchè fu iscritto alla competizione che doveva stabilire il più bravo.

Vinse tutti gli incontri preliminari.

Arrivò in finale.

Iniziò l’incontro.

Il suo avversario era molto forte.

Cercarono, ambedue, di aggiudicarsi l’incontro.

Giunti quasi alla fine dell’incontro, Alfred, vedendo che non riusciva a superare l’avversario, avvinghiò il collo di lui con il braccio e cominciò a stringere come in una morsa.

Il viso dell’avversario era diventato paonazzo.

Alfred continuava a stringere.

Fù a quel punto che gli arbitri si gettarono su Alfred per impedirgli di stringere ancora.

L’avrebbe ucciso.

Nuovamente, negli occhi di Alfred apparve quella luce sinistra.

Fù espulso anche da questa attività sportiva.

3° Episodio

Passò dell’altro tempo.

Alfred, sempre più mal visto dai suoi compagni e dai suoi istruttori, riuscì ad iscriversi, celandosi con un falso nome, ad una palestra di pugilato.

Come al solito, Alfred dimostrò di essere molto bravo.

Lo iscrissero agli incontri che dovevano stabilire il più bravo della palestra.

Vinse, come al solito, tutti i primi incontri e giunse all’incontro finale.

Questa volta gli capitò un avversario fortissimo.

Era una specie di armadio, molto simile ad Ivan Drago.

Iniziò l’incontro.

Ivan Drago cominciò a martellarlo con una serie di colpi micidiali.

Alfred riuscì a contrastarli per tutta la prima ripresa.

Nella seconda ripresa, Alfred, non avendo più il vigore iniziale, cominciò ad accusare i colpi dell’avversario.

Riuscì, faticosamente, a finire la seconda ripresa.

Appena iniziata la terza ripresa, Ivan Drago sferrò un dritto micidiale sul naso di Alfred.

Si sentì uno schianto possente.

Il naso di Alfred si era rotto.

Crollò disteso al tappeto e cominciò a sanguinare abbondantemente dal naso.

L’arbitro cominciò il conteggio.

Arrivato ad un certo punto si fermò e guardando il viso di Alfred rimase inorridito:

IL SANGUE CHE RICOPRIVA IL VISO DI ALFRED ERA DI COLORE VERDE…..

 

Annata 56.

“Adesso ci facciamo quattro risate” disse Alberto agli altri suoi amici.

I tre amici, abitualmente, si riunivano nei giorni festivi nella casa di campagna di Alberto, dove organizzavano grandi abbuffate a base di carne arrostita alla brace di un enorme camino che sovrastava la sala da pranzo.

Quella sera, Alberto ed i suoi amici: Marcello e Vittorio, dopo aver consumato una lauta cena condita da innumerevoli libagioni, si erano riuniti davanti al camino.

Chiaccheravano del più e del meno, quando Alberto, con voce autoritaria, disse: “adesso ci facciamo quattro risate” come se non le avessero fatte già “mi sono venute in mente” continuò Alberto “alcune cosette che riguardano voi due”.

“In che senso?” domandò uno dei due con aria preoccupata.

“Nel senso che vi rammenterò alcuni episodi molto particolari che vi riguardano” rispose Alberto.

“Cominciamo da Marcello” continuò Alberto “caro Marcello ti ricordi di quella sera alla Fontana di Trevi?”

“Mah…. vagamente” rispose Marcello con aria distratta.

“Va bene, allora la racconto a Vittorio” incalzò Alberto “quella sera eravamo io e Marcello alla Fontana di Trevi, alquanto sbronzi, come al solito.

Avvenne che Marcello, che era il più sbronzo dei due, salì sul bordo della fontana e cominciò a passeggiare barcollando e, come del tutto prevedibile, cadde nella fontana.

Dopo aver sguazzato, riuscì ad alzarsi in piedi ed invece di uscire dalla fontana, si diresse, con aria stralunata, verso la cascata.

“Marcello, ma cosa fai!!” gli urlai.

“Lasciami stare, c’è Anita che mi chiama: Marcello…..come here!!! Mi sta dicendo”.

Alchè, Marcello si avvicinò alla cascata e rimase abbracciato ad una delle statue.

Se non fossero intervenuti i vigili, sarebbe ancora lì avvinghiato”.

Alberto e Vittorio scoppiarono in una fragorosa risata.

Marcello un po’ di meno.

“Adesso tocca a Vittorio…..” continuò Alberto.

“Senti, invece di fare il coglione” lo interruppe Vittorio “perché non vai a prendere una di quelle bottiglie annata 56, così festeggiamo meglio la serata?”

“Nooooo!!….” urlò Alberto “è l’ultima che mi è rimasta!!….”

“E dai, che c’è di meglio di berla insieme ai tuoi amici?”

“Non posso assolutamente!!….” gridò Alberto.

Alchè Vittorio si avvicinò ad Alberto e, con un filo di voce, gli disse: “Vuoi che racconto a Marcello quello che ti è successo l’altra sera in discoteca?”

“Nooooo…..va bene….va bene, la vado a prendere”.

Alberto si recò alla cantina.

Tornò dopo un po’ con la bottiglia in mano.

“Questo è sangue del mio sangue!!” esclamò con aria triste.

Stapparono la bottiglia e se la scolarono in pochi istanti.

Alchè, visto che si era fatto tardi, Marcello e Vittorio si avviarono verso l’uscita.

Salutarono Alberto che rimase sulla soglia dell’ingresso mormorando con le lacrime agli occhi: “Era l’ultima dell’annata 56……”.

Marcello, prima di salire in macchina, si rivolse a Vittorio: “Senti Vittorio, ma cosa hai detto ad Alberto per convincerlo a prendere la bottiglia?”

“Gli ho detto che avrei raccontato quello che era successo la sera prima in discoteca”

“E cosa è successo?” continuò Marcello incuriosito.

“Adesso te lo racconto” cominciò Vittorio “l’altra sera eravamo io ed Alberto alla discoteca “Mille luci”, eravamo seduti ad un tavolo, cercando di adocchiare qualche bella sgrinfia, come al solito.

Ad un tratto, una bionda favolosa, con un vestito che c’era e non c’era, si è avvicinata al nostro tavolo.

“Tesoro, vuoi ballare?” domandò rivolgendosi ad Alberto.

Alberto, non credendo ai suoi occhi, si alzò.

La bionda lo prese per mano e lo accompagnò sulla pista.

L’orchestra dava un lento.

Cominciarono a ballare stretti uno all’altro.

Alberto stringeva sempre di più.

Ad un certo punto, Alberto sentì qualcosa di duro che gli premeva sulle parti basse.

Qualcosa di duro che non doveva essere in quel posto…..

“Brutto frocio….vattene affanculo!!!” urlò Alberto e corse via dal locale.”

Marcello scoppiò in una grassa risata: “Ah…Ah…adesso capisco come hai fatto a convincerlo”

I due si salutarono e si avviarono verso le loro abitazioni.

Boris.

Maggiore Philip Collins dell’esercito statunitense, veterano della guerra in Afghanistan, sposato con moglie e figli.

Capitano Frank Costello dell’esercito statunitense, veterano della guerra in Irak, scapolo impenitente.

Tutti e due erano impiegati presso il Pentagono con mansioni amministrative.

Erano amici da lunga data.

Abitavano nello stesso quartiere.

Tutte le mattine, prima di recarsi al lavoro, si fermavano al Bar per prendere un caffè.

“Certo che facciamo proprio un lavoro di merda….” disse Philip quella mattina, sorseggiando il caffè fumante.

“Hai ragione Philip….” rispose Frank “anch’io mi sono rotto le palle. Quando eravamo impegnati in azioni di guerra era molto più divertente”.

“Senti Frank….” continuò Philip “ti do la possibilità di tornare ai vecchi tempi, anche in maniera divertente”.

“Dimmi….” rispose Frank.

“Ti nomino mio agente speciale. Ti affido un compito degno del migliore 007”.

“Racconta…. La cosa mi interessa” rispose Frank.

“Hai presente Betty, quella deliziosa moretta, segretaria del Colonnello?” domandò Philip.

“Eccome se ce l’ho presente. Mi ha sempre attizzato!….” esclamò Frank.

“Ok…allora comincia a stabilire un rapporto con lei. Dopo ti dirò quello che devi fare”.

“Ok capo….ai suoi ordini!….”

Finito il caffè, si diressero verso il luogo di lavoro.

Frank, appena arrivato, si diresse verso l’ufficio del Colonnello.

“Betty, lo sai che stamattina sei veramente uno schianto….” Disse rivolto alla bella segretaria.

“Frank….sei sempre il solito buffoncello…” rispose Betty, arrossendo.

“No….guarda che dico sul serio. Sei veramente favolosa. Che ne dici se una di queste sere andiamo a cena insieme. Conosco un posticino dove fanno un pollo al carry favoloso”.

“Vedremo….” rispose Betty, con un sorrisetto che diceva tutto.

Dopo qualche giorno, la sera, erano seduti in un tavolo appartato del locale, assaporando il pollo.

“Veramente buono….” disse Betty.

“Il pollo è buono, ma tu sei ancora meglio…” incalzò Frank.

Quella sera stessa finirono a letto, nel grazioso appartamento di Frank.

“Capo….missione compiuta!!…” esclamò Frank, rivolto a Philip, mettendosi sugli attenti.

“Bene….” disse Philip “ adesso ti dico quello che devi fare….”

Glielo disse.

Frank si diresse nuovamente verso l’ufficio del Colonnello, che era come al solito assente.

Però c’era Betty.

“Tesoro….” cominciò Frank “ti devo chiedere una cortesia….”

“Dimmi amore….” rispose Betty.

“Il mio computer si è inceppato e devo fare una ricerca importante. Mi fai usare il computer del Colonnello? Ci metto un attimo”.

“Non lo so se posso darti la password….è abbastanza riservata” rispose Betty.

“Dai Betty….siamo tutti sulla stessa barca”.

Gliela diede.

Frank si mise al computer.

Senza farsi vedere da Betty, scaricò in una penna tutto il contenuto del PC.

“Sei stata veramente deliziosa. Vedrai che troverò il modo per sdebitarmi….” le disse Frank, lanciandogli un bacio.

“Capo….anche questa è fatta. Ho dovuto “faticare” un po’ ma il risultato è stato positivo” e Frank consegnò la chiavetta a Philip.

Philip lo congedò, facendogli i complimenti.

Rimasto solo, inserì la chiavetta nel suo computer.

Sullo schermo apparve una lista lunghissima.

Erano elencati tutti gli armamenti degli Stati Uniti d’America: forze di terra, mezzi blindati, aerei da combattimento, navi da guerra e basi missilistiche.

“Molto bene!!!…” mormorò Philip.

Spense il computer.

Chiuse la porta.

Si diresse verso la scrivania ed aprì con la chiave l’ultimo cassetto in basso.

C’era un cellulare.

Lo prese e compose un numero.

Chi parla?…”   rispose una voce in lingua russa.

Sono Boris….” disse Philip, anch’egli in lingua russa “ho qualche cosina da farvi vedere!!….

Brian De Palma (Wendy)

Brian De Palma, famoso regista holliwoodiano, stava recandosi, dopo una giornata di intenso lavoro sul set cinematografico, al suo appartamento situato al piano attico di una lussuosa palazzina, composto da tre appartamenti con terrazze panoramiche, dei quali il suo era quello centrale.

Giunto in prossimità della porta d’ingresso, avvertì dei sommessi rumori provenienti dall’appartamento adiacente al suo sulla sinistra.

All’improvviso la porta di tale appartamento si spalancò ed uscirono di corsa due tizi spintonandosi l’uno con l’altro.

“Cazzo….e questo che ci stà a fare!!!!” gridò uno dei due tizi, accorgendosi della presenza del regista sul pianerottolo.

“Fermalo….non deve scappare!!!” gridò l’altro.

Si avventarono sul De Palma e gli intimarono di aprire l’appartamento.

“Questo ci ha visti….dobbiamo eliminarlo” esclamò tizio uno, una volta entrati.

“Sicuramente questo riferirà di averci visto, dobbiamo farlo tacere!!” aggiunse l’altro.

Lo presero per la gola e cominciarono a stringergliela.

“Toc…toc…toc” udirono bussare alla porta.

“E adesso chi cazzo è??” disse tizio uno.

“Dobbiamo nasconderlo….legalo, imbavaglialo e mettilo dietro quella tenda” rispose l’altro.

“Chi è?” chiese tizio uno, avvicinandosi alla porta d’ingresso.

“Signor De Palma, sono Rosy, la ragazza della porta accanto” disse una voce dall’esterno.

“E’ scappata la mia gattina Wendy, è nel suo terrazzo. Per favore, mi fa entrare che cerco di recuperarla”.

Tizio due aprì lentamente la porta d’ingresso e una volta spalancata, fece entrare Rosy.

“Ma non c’è il signor De Palma….voi chi siete?” domandò Rosy.

“Abbiamo un appuntamento con il regista, ci ha dato le chiavi, lo stiamo aspettando” rispose tizio due.

“Vado sul terrazzo e cerco di trovare Wendy” disse Rosy, dirigendosi verso la porta finestra della cucina che dava sul terrazzo.

Dopo alcuni minuti, Rosy, con in braccio la gattina, rientrò nella cucina e si diresse verso la porta di uscita.

Nel mentre che attraversava il soggiorno, la gattina Wendy balzò dalle braccia di Rosy sul pavimento e si diresse verso la tenda dalla quale spuntavano le punte di un paio di scarpe.

“Signor De Palma, ma che ci fa qui!!” esclamò Rosy, aprendo la tenda.

I due tizi, terrorizzati, si precipitarono verso la porta d’ingresso e la spalancarono per darsi alla fuga.

Nel momento in cui si erano immessi sul pianerottolo delle scale, cominciò ad aprirsi lentamente la porta dell’appartamento dal quale erano usciti.

“Bastardi…..credevate di esservi liberati di me!!” gridò una persona che era sul vano della porta aperta, con il petto ed il braccio sinistro insanguinati.

Costui, con la pistola che aveva nella mano destra, sparò ripetuti colpi in direzione dei due tizi, colpendoli entrambi e facendoli stramazzare sul pavimento.

Nel frattempo, Rosy ed il signor De Palma avevano assistito imperterriti, sul vano della porta d’ingresso, a tutta la scena.

Wendy, dopo alcuni secondi,  intrufolandosi fra le gambe dei due sulla porta,  si diresse verso uno dei due tizi esamine sul pavimento e salendogli sulla pancia, cominciò a leccare il “succo di pomodoro” che aveva sparso sul petto.

Alchè il tizio, scostando Wendy, si alzò ed imitato dagli altri due si rivolse al signor De Palma: “Signor De Palma…che ne dice, siamo stati bravi?”

“Siamo pronti per avere una parte nel suo ultimo film?….”

Brian De Palma, rimanendo impietrito sul vano della porta, cercò di dire qualcosa ma le sue labbra si aprirono e si chiusero senza poter dire niente.

Wendy, molto seccata dall’interruzione della sua “leccata al pomodoro” si diresse con passo felpato verso il suo appartamento.

Come Loro

“Io non potrò mai essere come loro…….” Pensai quella sera prima di addormentarmi.

“Loro” sarebbero i miei due personaggi preferiti: James Bond e Walker Texas Ranger impersonato da Chuck Norris.

Quella sera, in attesa che mi venisse sonno, ero immerso nella lettura dell’ultima avventura di James Bond, magistralmente descritta dal numero 1 del thriller poliziesco: Jeffery Deaver.

Ero rimasto fortemente colpito da come Bond aveva neutralizzato un suo avversario con una mossa di Karate, prendendolo per un braccio e facendolo volare per aria con successivo atterramento sulla capoccia.

Quella sera stessa avevo seguito in tv un episodio di Walker Texas Ranger con Chuck Norris, che si esibiva per l’ennesima volta, nella sua mossa preferita: calcio alle palle con doppia giravolta e successivo calcione alla tempia con tripla giravolta.

Premetto che ritengo di essere una persona con carattere mite, dall’animo dotato di non eccessivo coraggio.

Per questo ho sempre ammirato ed invidiato le gesta dei miei due beniamini, vivendo nella convinzione di non poter mai emulare i loro comportamenti.

Con questi pensieri mi addormentai.

Dopo un indefinito lasso di tempo venni svegliato da un rumore che proveniva dal piano sottostante.

Premetto che vivo in un modesto loft, dove il piano terra è composto dalla cucina, il soggiorno ed uno studiolo dove vi è una piccola cassaforte a muro.

La stanza da letto è situata al piano superiore accessibile tramite una scala a giorno.

Restando seduto sul letto, ascoltai tendendo l’orecchio verso il piano sottostante e mi parve di udire delle voci.

Preso da un grande turbamento, mi alzai dal letto e cercando di non fare eccessivo rumore, iniziai a scendere le scale con le gambe che mi tremavano.

Giunto al punto della scala in cui era possibile avere la visuale del piano sottostante, mi accorsi della presenza di due persone che stavano armeggiando alla cassaforte.

“Stà cassaforte non conosco….” Sentii dire al tizio: smilzo con la faccia da trucido.

“Faccio me con piede porco….” Rispose l’altro tizio: grosso come un armadio, con la testa calva ed un paio di baffi alla cosacca.

Preso dal panico non mi accorsi che su un gradino c’era una scatola che avevo lasciato la sera prima e la urtai con un piede.

I due tizi si voltarono di scatto verso di me e lo smilzo urlò: “ammazzalo!!!!!!”.

Il grosso, con il piede di porco in mano si avventò contro di me e quando stava per colpirmi, mi svegliai urlando.

Ero in un bagno di sudore e, rendendomi conto che stavo sognando, mi tranquillizzai e mi rimisi a dormire.

Ci misi un po’ per addormentarmi.

Appena addormentato, riprese l’incubo nel momento esatto del mio risveglio.

Il grosso mi stava calando sulla testa il piede di porco.

“Non mi può succedere niente…” mi dissi “tanto stò sognando….”

Al contrario del sogno precedente, non mi svegliai e preso da un impeto non comune, decisi di mettere a frutto ciò che avevo imparato dai miei due beniamini “tanto stò sognando…..”.

Emulando Chuck Norris, diedi al grosso un calcio alle palle con doppia giravolta, costui lanciò un urlo e mentre si piegava in due per il dolore, partii con un altro calcio alla tempia con tripla giravolta.

Il grosso crollò a terra esanime.

Lo smilzo, che aveva assistito imperterrito alla scena, cavò dalla tasca un grosso coltello a serramanico e mi si avventò contro.

Emulando, a sua volta, James Bond, artigliai con una mano il polso che teneva il coltello e facendo leva con la spalla feci eseguire allo smilzo un volo per aria con una rotazione di 180°.

Lo smilzo atterrò sul pavimento sbattendo il cranio e rimase anch’esso disteso esanime.

A quel punto, completamente soddisfatto del mio comportamento, decisi di svegliarmi, ma solo allora mi resi conto che: “NON STAVO SOGNANDO”.

Come ti costruisco ”la barca”…….

Il “ragazzo” rimase folgorato alla vista dell’articolo pubblicato sul n.11 di “Nautica” del 1965: “Malibù piroga a vela”. L’articolo riguardava la prova in mare del Malibù outrigger, proa polinesiano disegnato da Warren Seaman, un inglese che dopo aver soggiornato a lungo nelle Haway, acquistando una esperienza non comune in fatto di piroghe e catamarani, si mise in società, a Newport Beach, con il famoso Rudy Choy per progettare e costruire catamarani.

Il Malibù, descritto nell’articolo, era il primo esemplare italiano auto costruito a Roma da un certo “Ernesto Tross”.

“Heilà, il vecchio Ernesto ha colpito ancora…..” esclamò il “ragazzo” quando iniziò a leggere l’articolo.

Il “ragazzo”, letto l’articolo, s’innamorò immediatamente della piroga a vela costruita da Tross e decise che assolutamente doveva iniziare a costruirla.

Presi i contatti con Tross per avere i piani di costruzione ed i preziosi suggerimenti sui metodi di esecuzione, iniziò immediatamente la costruzione.

Dopo alcune difficoltà nel trovare il locale dove lavorare, nel giro di 6 mesi riuscì ad ultimare l’imbarcazione.

Con il Malibù costruito, il “ragazzo” navigò per svariati anni nel mare Adriatico, nella zona Romagna Marche, risvegliando l’interesse degli appassionati del luogo. In particolare del Dott. Antonio Ricolfi, primario di neurochirurgia dell’Ospedale di Senigallia, che s’innamorò talmente tanto della imbarcazione da iniziare subito l’autocostruzione della stessa nel box della sua abitazione.

L’entusiasmo che mise nella costruzione era tale che non gli aveva fatto considerare la fuoriuscita dell’imbarcazione dal box una volta ultimata.

Ha dovuto abbattere una parete!!!!

Un altro personaggio che ha mostrato un grande interesse all’imbarcazione è stato Armando Roia, vice Sindaco del Comune di Pergola, il quale strinse una grande amicizia con il “ragazzo”, diventando nel corso degli anni un bravo ed appassionato velista e proprietario di un Comet 850 con il quale navigarono per lungo tempo fino ai giorni odierni.

La costruzione del “Malibù” fu la prima realizzazione eseguita dal “ragazzo”, che attualmente non è più “ragazzo” (ma non lo era nemmeno allora).

All’inizio degli anni 90 si dedicò alla progettazione del “Triplano”: trimarano a vela di mt.6,70.

Il progetto e le modalità di costruzione del “Triplano” derivarono da varie esperienze acquisite da Sandro nel corso degli anni passati, studiando metodi e realizzazioni effettuate da vari personaggi che hanno avuto un ruolo importantissimo nel divulgare la pratica dell’autocostruzione.

In particolare l’Arch. Gabriele D’Alì, che con i suoi articoli pubblicati su “Bolina” fin dalla nascita di questo mensile nel lontano 1985, ha fatto conoscere con esemplari illustrazioni e spiegazioni, il sistema del “cuci ed incolla” nella pratica dell’autocostruzione.

Sistema ulteriormente spiegato, in maniera magistrale, dall’Arch. D’Alì nei suoi libri: “Multiscafi autocostruzione” e “Un piccolo catamarano fatto in casa”.

Altro personaggio, di grande rilevanza nel campo dell’autocostruzione, è stato e lo è tutt’ora l’Arch. Rodolfo Foschi, progettista di innumerevoli imbarcazioni a vela per conto di privati, autore anch’egli di articoli su “Bolina” dove dispensa, in modo arguto e simpaticamente ironico, consigli sulle modalità dell’autocostruzione.

Autore inoltre del libro: “Istruzioni per costruire una barca di 5,50 metri” dove spiega con grafici e descrizioni accurate la costruzione amatoriale del “Buonvento” piccola imbarcazione a vela da lui progettata.

Infine, altro personaggio che ha contribuito alla nascita del “Triplano” è stato l’Arch. Francesco Fabbrovich che ha progettato e costruito il catamarano “Cuoncio Cuoncio” di mt. 6,00 con i due scafi cabinati e armatura a biplano.

Tale progetto è divenuto la tesi di Laurea in Architettura di Francesco, con la preziosa assistenza del co-relatore Arch. Gabriele D’Alì.

E’ stato pubblicato un articolo di Fabbrovich su “Bolina” n°166 mese di Giugno 2000: “Via d’uscita a due scafi”.

La costruzione è avvenuta presso il circolo velico “Acquarella” in riva al lago di Bracciano.

Il progetto e le modalità di costruzione di questo catamarano hanno dato i maggiori spunti per la definizione delle dimensioni e caratteristiche del “Triplano”, che, nelle intenzioni progettuali, doveva risultare una barca economica, facilmente costruibile, carrellabile e grande abbastanza per intraprendere piccole crociere in tutta sicurezza. Caratteristiche interamente attribuite dal Fabbrovich al suo catamarano.

Sandro, all’età di 70 anni, iniziò la costruzione del trimarano che aveva progettato.

Ciò dimostra che chiunque, a qualsiasi età, può cimentarsi nella affascinante arte della autocostruzione.

Arte che si presenta apparentemente difficoltosa agli occhi dei non esperti, ma è resa di facile esecuzione ed alla portata di tutti, adottando opportune modalità di costruzione.

Il desiderio di autocostruire è un qualcosa che è insito in ciascuno di noi e che viene risvegliato da impulsi esterni che provengono da fonti di diverso genere.

In particolare, nel campo degli autocostruttori di imbarcazioni a vela, tale desiderio nasce dalla passione per tutto ciò che naviga in assoluta semplicità, senza vincoli di alcun genere ed in completa sicurezza.

Non è solo la passione per la navigazione che fa nascere questo desiderio ma anche la necessità di creare nuovi stimoli nel proseguo della propria esistenza.

In particolare, al sopraggiungere di una certa età, in cui si interrompe la propria attività lavorativa, nasce l’esigenza di come impiegare “al meglio” il resto della propria vita.

Che cosa c’è di meglio di veder crescere sotto le proprie mani un qualcosa che rappresenta le nostre capacità realizzative ed una volta finita poter dire:

” L’ho creata io “

Questo è ciò che Sandro visse in quegli anni.

 

Ferraglia.

Era notte inoltrata, una sagoma scura si stava calando dalla copertura di una villa di Saint Tropez.

Jack “tarantola” era di nuovo in azione.

Calatosi sul terrazzo della villa, si accertò che nessuna luce provenisse dall’interno delle stanze.

Mentre stava cercando di entrare furtivamente da una delle vetrate che davano sul terrazzo, sentì che il suo cellulare stava ricevendo un messaggio.

Lo lesse: “Trovati domani a mezzogiorno sotto la Torre Eiffel, Max”.

Risalì immediatamente da dove era venuto e si allontanò rapidamente.

Quasi nello stesso momento, in un locale di Montecarlo, un giovane biondo di bel aspetto aveva adocchiato una splendida ragazza seduta al bancone.

“Il mio cuore sta battendo a mille dal momento che ti ho vista” le sussurrò in un orecchio.

Maurice “il biondo” stava compiendo uno dei suoi innumerevoli “agganci”.

Mentre la ragazza ricambiava con uno smagliante sorriso, il cellulare di Maurice emise il classico suono che avvertiva un messaggio in arrivo.

Il “biondo” lesse il messaggio: “Trovati domani a mezzogiorno sotto la Torre Eiffel, Max”.

Maurice spense il cellulare e si allontanò dal locale.

In quel mentre, in una locanda di Marsiglia, un giovane bruno danzava con ritmo frenetico su uno dei tavoli del locale.

Pedro detto “Flamenco” si stava esibendo in una delle sue performance.

Gli arrivò un messaggio dal suo cellulare.

“Trovati domani a mezzogiorno sotto la Torre Eiffel, Max”.

Pedro scese rapidamente dal tavolo e si allontanò dal locale.

“Ragazzi” disse Max ai tre che si erano presentati puntualmente sul luogo dell’incontro.

“Vi è un’occasione per guadagnare un bel po’ di svanziche”.

“Dicci tutto” incalzarono i tre con fare interessato.

“Vedete quella “ferraglia” dietro di noi” continuò Max indicando la Torre Eiffel.

“Dobbiamo smontarla completamente e per ogni bullone svitato ci saranno dati due dollari”.

“Considerate che i bulloni della torre saranno circa un milione”.

I tre si guardarono stupiti “E chi è questo matto che vuole questa cosa?…..” domandarono.

“Per adesso non vi posso dire niente” rispose Max.

“Qui ci sono tutti gli attrezzi necessari” continuò Max, mostrando una sacca enorme.

“Tu Jack arrampicati fino alla cima e comincia a smontare da lì”.

“Maurice, tu comincia subito sotto e tu Pedro dal basso”.

I tre presero gli attrezzi e si avviarono di corsa verso la torre.

Jack “tarantola”, giunto in cima, cominciò a svitare i bulloni.

Subito sotto un gruppo di visitatori cominciarono ad interessarsi al lavoro di Jack.

Maurice, che era nei pressi, si rivolse a loro: “Signori e belle signore, stiamo smontando la torre, verrà dato un dollaro per ogni bullone svitato”.

“Se vorrete partecipare, qui ci sono gli attrezzi”.

I visitatori, dopo un attimo di esitazione, cominciarono anch’essi a svitare i bulloni.

Pedro che era al di sotto fece la medesima proposta ai visitatori.

Questi si misero subito all’opera.

Max osservava dal basso compiaciuto.

Dopo un po’ di tempo si sparse la voce tra gli abitanti della zona adiacente.

Centinaia di persone si diressero verso la Torre e, dotate degli attrezzi necessari, iniziarono a smontare.

Passarono tre giorni e tre notti.

A mezzogiorno del terzo giorno la Torre era completamente smontata.

Un mucchio enorme di ferraglia giaceva sul posto dove era la base della Torre.

I tre e le centinaia di persone si presentarono da Max con le enormi sacche piene di bulloni.

“Allora, noi abbiamo fatto” dissero in coro.

“Bravi ragazzi” rispose Max “avete fatto un ottimo lavoro, aspettate qui che vado a prendere la persona interessata”.

Si assentò per un breve tempo e dopo un po’ si presentò seguito da una persona.

La persona portava un enorme cappello da texano e stivali con gli speroni.

Il “Texano” rivolse lo sguardo verso il mucchio di ferraglia.

Una lacrima gli colava sul viso.

“Era meglio prima…..” disse con voce tremante.

“Rimontatela, vi offrirò il doppio della cifra prevista per ogni bullone…..”.

 

Forza Roma.

Era la 12° giornata di ritorno del campionato di serie A.

Si affrontavano la Roma e la Lazio.

Gigi e Andrea erano diretti allo Stadio Olimpico.

Gigi con la bandiera della Roma sulle spalle.

Andrea con la bandiera della Lazio.

“Vi facciamo neri !!….” esclamò Gigi, grandissimo tifoso della Roma.

“E noi vi spezziamo in due” rispose Andrea, grandissimo tifoso della Lazio.

“Facciamo una scommessa” disse Gigi.

“Quale scommessa?” domandò Andrea.

“Chi perde” continuò Gigi “si getterà nudo nella Fontana di Trevi gridando forza Roma o forza Lazio.

“Ci stò” disse Andrea “preparati a fare un bel bagno”.

“Vedremo” rispose Gigi.

Entrarono nello stadio.

Si sedettero ai loro posti prenotati.

Iniziò la partita.

Le due squadre si affrontarono con alterne azioni di attacco e di difesa.

Finì il primo tempo, le squadre erano sullo 0 a 0.

Iniziò il secondo tempo, le due squadre continuavano ad affrontarsi con fasi alterne.

Giunsero al minuto 88°.

Calcio d’angolo per la Roma.

Batte Florenzi.

La palla descrisse un perfetto arco nell’aria diretta verso la porta della Lazio.

Giunta in prossimità dei due pali della porta, una testa bionda svettò nell’aria, colpì la palla e la mandò ad insaccarsi nell’angolo alto della porta della Lazio.

Edin Dzeko aveva colpito ancora.

Un urlo di gioia scoppiò dalla Curva Sud dello Stadio.

L’arbitro, al 94° minuto, fischiò la fine della partita.

Gigi uscì dallo stadio esultando e sventolando la bandiera della Roma.

Andrea un po’ meno esultante…….

La sera si ritrovarono alla Fontana di Trevi.

Andrea cominciò a spogliarsi.

Rimasto come Dio lo fece, entrò nella fontana.

Stava per gridare “Forza Roma” quando avvenne un fatto insolito.

Un elicottero si era portato in verticale sulla fontana ad una altezza di circa sei o sette metri.

Dal portellone dell’elicottero si calò un uomo appeso ad una fune.

Giunto sopra ad Andrea, lo cinse con la fune e lo sollevò dall’acqua.

I due vennero issati a bordo dell’elicottero.

Dal portellone dell’elicottero, che continuava a volteggiare sulla fontana, si affacciò una persona con un megafono.

“Siamo di un gruppo terroristico” urlò la persona ”se volete che vi ridiamo il vostro amico, dovete liberare il nostro compagno Alzairi”.

Accorse immediatamente la Polizia sul posto.

Cercarono di trovare una soluzione a quella situazione.

Fù in quel momento che Andrea, che era rimasto seduto sul pavimento dell’elicottero, si alzò di scatto e dette una spinta alla persona che era davanti a lui.

La persona scivolò sul pavimento bagnato da Andrea.

Andrea ne approfittò per gettarsi fuori dal velivolo.

Piombò nell’acqua della fontana, producendo un grande spruzzo.

Si rialzò, un po’ ammaccato per l’urto.

Tutto il pubblico stava a guardarlo e si stava apprestando a soccorrerlo.

Andrea si portò le mani alla bocca ed urlò con tutto il fiato che aveva: “FORZA ROMAAAAAA!!!!!!!!”

 

Giacca blu.

Era un pomeriggio d’estate.

Passeggiavamo lungo la banchina della darsena di Fiumicino.

L’indomani mattina saremmo partiti per Ponza a bordo dello “Sangri La”: un cabinato a vela di 10 metri.

Arrivò, proveniente dalla strada che costeggiava il canale, una Ferrari rosso sgargiante.

Si fermò davanti alla banchina.

Un signore in giacca blu con bottoni dorati, pantalone bianco candido e cappello da comandante di marina, scese dalla vettura e, con fare impettito, si diresse verso il bordo della banchina.

“Salve ragazzi!” salutò Giacca Blu, rivolto all’equipaggio di un motoscafone ormeggiato al di sotto della banchina.

“Com’è il mare oggi?”

“Buono, c’è solo un po’ di onda lunga” rispose un membro dell’equipaggio.

“Molto bene!” esclamò Giacca Blu “siete pronti per la partenza?”

“Prontissimi, comandante!” rispose in coro l’equipaggio.

“Issate l’ancora!” comandò Giacca Blu, mettendosi in posa: mani sui fianchi e gambe allargate (ricordava qualcuno…..)

“In moto il motore di destra!” continuò il comandante.

I 225 cavalli del motore Perkins si fecero sentire con un rombo che si propagò per tutta la banchina.

“In moto il motore di sinistra!”

I cavalli del secondo motore, tanto per non essere da meno, rombarono anch’essi.

“Bene ragazzi!” esclamò il comandante “sono le 16,30 di venerdì”.

“Ci vediamo alle 16,30 di domenica a Montecarlo, buon viaggio!”

Il motoscafo si avviò lentamente verso l’uscita del canale.

Appena entrato in mare aperto, i motori alzarono il numero di giri e l’imbarcazione si avviò velocemente, lasciando una lunga scia.

Il comandante (nonché Giacca Blu) seguì con lo sguardo la barca che si allontanava, agitando il braccio in segno di saluto.

Quando l’imbarcazione sparì all’orizzonte,Giacca Blu si voltò e, con fare melanconico, si avviò verso il Ferrari.

Mise in moto e si allontanò dalla banchina.

Il motore Ferrari, per non sfigurare rispetto ai motori Perkins, emise un rombo potente e prolungato.

 

Gigi e Matteo.

Gigi era di natura uno sfaccendato.

Passava le giornate fra il bar e la sala giochi.

Non aveva nessuna fonte di reddito.

A casa lo aspettava Katia.

Katia faceva la cubista nel night del quartiere e quel poco che guadagnava, doveva servire per tirare avanti tutti e due.

Matteo, invece, era il classico padre di famiglia.

Impiegato di banca, trascorreva le giornate tutte casa e lavoro.

A casa lo attendeva Emma, madre del loro figlioletto Luca di appena un anno e mezzo.

E fino a qui tutto normale.

Il fatto particolare era che Gigi e Matteo erano la stessa persona.

A volte era Gigi, con la sua esistenza strampalata e, altre volte, era Matteo con il suo comportamento ligio e decoroso.

Nota dell’autore:

“Ve l’ho detto che è una storia di fantasia?”

“No?”

“Mbè, ve lo dico adesso”.

Giornata di Gigi:

Tutte le mattine, Gigi dormiva fino alle undici.

Alchè si alzava e, stiracchiandosi, si dirigeva verso la cucina, dove Katia gli lasciava preparato il caffè con le briosce.

“E’ proprio una vitaccia!” si diceva Gigi in tono ironico.

Fatta colazione, si vestiva: jeans e maglietta ed usciva.

Tutto quello che rimaneva della giornata lo passava tra una partita a biliardo e varie giocate al videopoker, dove sempre perdeva (i soldi di Katia).

La sera tornava a casa e, dopo aver acceso lo stereo a tutto volume, gridava:

“Ciao Katia” che stava trafficando in cucina “oggi ho vinto tutte le partite a biliardo”.

“Bravo!” gli rispondeva Katia “senti bello, io mi sono stufata di fare la tua serva. E’ l’ora che ti metti a fare qualcosa, altrimenti ti saluto”.

“Ma cara” rispondeva Gigi “vedrai che da domani metterò la testa a posto”.

Il chè non succedeva mai.

Giornata di Matteo:

Tutte le mattine, sempre allo stesso orario, puntualissimo, Matteo si presentava in banca.

Svolgeva il suo lavoro ligio al proprio dovere.

All’ora di pranzo consumava un leggero spuntino allo snack bar vicino alla banca.

All’orario di chiusura, terminava il suo lavoro e tornava a casa.

“Ciao cara, sono tornato” diceva a bassa voce per non svegliare Luca che dormiva.

Emma usciva dalla cucina e gli stampava un bel bacio sulla guancia.

“Stasera ti ho preparato una bella cenetta” gli diceva.

“Sei proprio un tesoro” rispondeva Matteo e andava nella stanzetta di Luca per dargli il bacio della buona notte.

Accadde una sera che Gigi stava tornando a casa, dopo una giornata “faticosissima”.

Entrò e, come sua abitudine, accese lo stereo a tutto volume.

Uscì Emma dalla cucina.

“Ma sei impazzito!” gridò “non sai che Luca stà dormendo?!”

Gigi la guardò con aria interrogativa.

“Ma tu chi sei?” domandò “e Luca che stà dormendo, chi è?”

“Ma come chi sono?” rispose Emma “sei veramente impazzito. E poi, ma come ti sei vestito?”

“Senti” aggiunse Gigi “io non ti conosco, cosa ci fai a casa mia?”

Emma, preoccupatissima, si diresse verso il telefono.

“Adesso chiamo l’ambulanza e ti faccio portar via!”

In quel momento, si sentì che qualcuno stava girando la chiave nella porta d’ingresso.

Era Katia.

Entrò e tutti e tre rimasero impietriti a guardarsi.

“Non è possibile!” gridò Emma.

Gigi si diresse verso la cucina e, dopo un breve momento, rientrò nel soggiorno: non era più Gigi.

Era Matteo.

Alchè Katia si mise le mani nei capelli.

“Io non ci capisco più niente!” gridò “o siete pazzi voi o sono pazza io!”

Dopodichè, si diresse verso la porta d’ingresso.

La spalancò e fuggì via.

Da quella sera è passato un po’ di tempo.

Emma e Matteo, che nel frattempo non si è più trasformato in Gigi, si domandano tuttora: che cosa era successo quella sera?

Nota dell’autore:

Questa storia fa parte, come già vi ho detto, di un mondo fantasioso.

La cosa veramente fantastica è che:

A ME E’ CAPITATO VERAMENTE.

Pensatela come volete…….

 

Gli sbalzi.

“Ma chi me l’ha fatto fare….” mormorò fra sé il Sottotenente di Cavalleria Giulio Rinaldi, sdraiato per terra su una sponda del letto di un fiume sotterraneo.

“Era meglio che partivo da soldato semplice. A quest’ora sarei imboscato in qualche fureria, invece di essere in questa operazione militare di merda, e per giunta di notte.”

Giulio Rinaldi aveva ricevuto la prima “cartolina” all’età di 21 anni.

Erano già tre anni che faceva parte di un importante studio di Architettura della Capitale.

Era diventato un componente indispensabile del suddetto studio.

“Non è possibile perdere un anno così….” disse Giulio, rivolto ai suoi colleghi “bisogna che mi invento qualcosa…”.

Trovò quel qualcosa, anche aiutato da suggerimenti vari.

Si iscrisse alla Facoltà di Ingegneria.

Con tale iscrizione, anche senza frequenza, avrebbe rinviato di un anno la partenza per il militare.

Il giochetto riuscì a ripeterlo per i 4 anni successivi.

Dopo 5 anni di iscrizioni universitarie, non era più consentito il rinvio militare.

Alchè, per ottenere un ulteriore rinvio si iscrisse al corso Allievi Ufficiali.

Lo superò agevolmente e dovette partire.

Fù destinato alla Caserma “Ferrari Orsi” di Caserta, dove partecipò ai 5 mesi di scuola Allievi Ufficiali.

Dopo la scuola, fece altri 3 mesi con il grado di Sergente Allievo Ufficiale.

Trascorso il periodo da Sergente, ebbe il grado di Sottotenente di Cavalleria.

Lo destinarono al glorioso “Savoia Cavalleria” di Palmanova nel Friuli.

Quella notte partecipava ad una delle tante esercitazioni notturne.

Era a capo di una squadra di “assaltatori”.

La squadra era composta da 7 militari, compreso lui.

I componenti della squadra erano disposti su una linea ad una distanza di mt. 10 l’uno dall’altro.

Giulio Rinaldi era al centro.

I due laterali esterni erano armati con il VAR, fucile mitragliatore poggiato a terra con un sostegno.

I successivi due erano armati con il “Garand” fucile di alta precisione.

Infine i due a fianco di Rinaldi, erano armati con il MAB, mitraglietta a braccio.

Lui aveva la Beretta 7,65.

La squadra doveva compiere una serie di sbalzi (tratti da circa mt. 30, da percorrere di corsa) per raggiungere l’obiettivo: in quel caso, sagome poste sull’altra sponda del letto del fiume.

Il letto del fiume era formato da un insieme di ciottoli, di cui il più piccolo era grande quanto un meloncino.

Partì per prima la coppia esterna.

Percorse di corsa il primo sbalzo, con il mitragliatore sulle spalle.

Compiuti i trenta metri, si sdraiarono a terra e cominciarono a sparare verso le sagome.

In quel momento partì la seconda coppia con il Garand.

Successivamente toccò alla terza coppia con il MAB.

Infine, a compiere lo sbalzo, toccò al Sottotenente.

Questa operazione si ripetè per altri due sbalzi.

Alla fine del terzo ed ultimo sbalzo, il Sottotenente Giulio Rinaldi si trovò a ridosso delle sagome.

In quel momento, i componenti della squadra avrebbero dovuto terminare di sparare.

Non fù così.

Rinaldi udì, stupefatto, il crepitare dei VAR dietro di lui.

“Sior Tenente!!..” urlò il sergente alla sua destra “si butti giù!!!…”

“Ma che cazzo fanno quegli stronzi!!…” urlò a sua volta Rinaldi “meno male che sparano a salve…”

“Sior Tenente…” aggiunse il sergente, con spiccato accento friuliano “ma lei non c’era quando il sior Colonnello ha dato l’ordine?…”

“Quale ordine?…” urlò Rinaldi.

“Il sior Colonnello, stasera, ha dato l’ordine di caricare le armi con pallottole vere!!…”

Il Sottotenente di Cavalleria Giulio Rinaldi crollò a terra svenuto.

 

Gli stronzetti.

Era una bella domenica mattina di un giorno di Maggio.

Passeggiavo completamente rilassato, dopo una settimana di  lavoro, con il mio fedele Billy.

Giunto nei pressi del circolo tennis “Appio…..” mi venne in mente che i miei tre colleghi di lavoro: Nino, Danilo e Riccardo avevano l’abitudine di incontrarsi al circolo tutte le domeniche mattina per fare una partita.

Entrai e li trovai subito in uno dei primi campi.

“Ehi, se vi serve un quarto vi lascio Billy, tanto gioca come voi…..” dissi con aria canzonatoria.

“Hai poco da sfottere” rispose Nino “senti un po’, a proposito” continuò avvicinandosi “guarda che Danilo ed io ci siamo iscritti al torneo che ogni anno questo circolo organizza. Possono partecipare anche gli iscritti in altri circoli di Roma. Perché non ti iscrivi?”

“Ma ‘ndove annamo” risposi “questi ci fanno a pezzi….”

“Che ti frega” continuò Nino “al massimo faremo una partita”.

“Va bene…..dov’è la direzione?”

Mi diressi, con Billy al seguito, verso il punto indicatomi.

Entrai e mi rivolsi al tizio al bancone: “Mi vorrei iscrivere al torneo”.

E lui “ma chi, te o il cane?”

Lo ignorai e versai la quota.

Il giorno previsto per il mio primo (e sicuramente unico) incontro, mi presentai al campo di gioco indicato dal programma.

Mi venne incontro il mio avversario.

Era alto quasi 1,90 metri.

Portava una borsa dell’Adidas a tracolla, dalla quale spuntavano 4 manici di racchette.

Indossava una tuta sempre dell’Adidas, ultimo modello.

“Sei tu Sandro?” disse “piacere, io sono Roberto, ma tutti mi chiamano Roby”

“Piacere, Sandro” risposi, pensando: “annamo bene…..”

Dopo un breve periodo di riscaldamento, iniziammo a giocare il primo set.

Cominciò subito a martellarmi con dritti e rovesci di notevole potenza.

Piuttosto scoraggiato, finii il primo set 6 a 2 per lui.

Iniziammo il secondo set.

La musica non cambiava.

Stavamo 4 a 2 per lui.

Fù al quel punto che un gruppo di ragazzi si avvicinò alla rete di fondo.

“Roby” disse uno di loro “hai finito con stà sega?”

“Quasi, aspettatemi fuori” rispose Roby.

“E no!!!….” mi dissi, enormemente infuriato “questa non me la dovevano fare sti “stronzetti”.

Sentii svegliarsi dentro di me un qualcosa che mi diceva:

“Fai vedere chi sei a sti “stronzetti”.

Cominciai a pensare come potevo contrastare il gioco del mio avversario.

Mi vennero in mente le interminabili partite giocate con Nino sui campi dei “Lazzarino” a via Como.

Durante certe partite che mi trovavo sotto di 5 a 0,  non ci stavo a perdere ed impegnandomi al massimo,  riuscivo a spuntarla.

Così feci.

Cominciai ad “alzare” la palla, facendo il classico gioco del “pallettaro”.

Lui, innervosito, cercò di chiudere i punti sparando bordate da fondo campo.

La maggior parte andarono fuori.

Risalii a 4 pari.

Continuai a farlo correre a destra e a sinistra con palle smorzate.

Non ci vedeva più dalla rabbia.

5 a 4 per me.

Al quel punto tornarono i ragazzi (gli “stronzetti”).

“Roby, allora? È mezz’ora che ti aspettiamo….”

“Andate affanculo!!!!!!…..” urlò Roberto.

Continuando il tipo di gioco che mi ero prefisso, chiusi il set 6 a 4 per me.

Schiumava dalla rabbia!!

Il terzo set, quello decisivo, fù una passeggiata: 6 a 0 per me.

Era completamente distrutto.

Raccolse tutte le sue cose e scappò via imprecando.

Io stesso mi domandai: “ma come ho fatto?…”

Mi diressi verso la direzione e rivolgendomi al tizio dissi:

“Sono quello del cane….”

Gli mostrai il cartellino con l’esito dell’incontro.

Il tizio lo lesse e con gli occhi stralunati urlò: “Roby ha perso!!…..ma come ha fatto???…”

Me ne andai, molto soddisfatto.

Quando lo riferii ai miei due colleghi, non ci volevano credere.

Il secondo turno era previsto per 2 giorni dopo.

Mi presentai al campo di gioco.

Il mio avversario, un ragazzo molto simpatico, mi venne incontro.

Dopo le presentazioni, mi disse: “Sono veramente preoccupato. Come hai fatto a fare 6 a 0 a Roberto?….”

“Non ti preoccupare” gli risposi “è stato un fatto eccezionale….”

Cominciammo a giocare.

Capii subito che qualcosa non andava.

Persi l’incontro 6 a 0 – 6 a 0.

 

Il cofanetto.

Era una splendida mattinata di primavera.

Andrea stava facendo la sua solita corsetta al “Parco degli Acquedotti”.

Erano diversi anni che faceva, quando poteva, sempre lo stesso percorso.

Giunto sul viale che costeggia l’acquedotto romano, si accorse che qualcosa luccicava ai bordi della strada.

Si fermò e vide che era un cofanetto metallico, tipo quello che usano le signore per i gioielli.

Lo raccolse e aprì il coperchio.

Dentro c’era un foglio piegato.

Nel foglio c’era scritto: “Sei fortunato!…Recati a piedi alla fermata della Metro Lucio Sesto sulla via Tuscolana. Lì troverai, vicino alla biglietteria, un altro cofanetto. All’interno abbiamo riservato una grossa somma per te”.

“Questa è una delle solite fregature….” pensò Andrea.

Stava per buttare il cofanetto, quando si accorse che nel foglio c’era un P.S. sul fondo della pagina.

Lo lesse: “Ci rendiamo conto della tua diffidenza, pertanto per dimostrarti che non è uno scherzo, ti invitiamo a vedere che cosa c’è nel sottofondo del cofanetto”.

Andrea, spinto dalla curiosità, riaprì il cofanetto e si accorse che effettivamente c’era un sottofondo.

Sotto il sottofondo trovò una banconota da € 500.

“Ah….ma allora non è una fregatura….” esclamò Andrea “voglio provarci, tanto che mi costa, al massimo arriverò tardi all’ufficio”.

Vece dietrofront e si avviò verso l’uscita del parco.

Cominciò a percorrere la Circonvallazione Tuscolana, diretto verso la via Tuscolana.

Giunto quasi a metà della strada, vide che giungeva nel suo senso contrario, un signore con al guinzaglio un grosso rottweiler.

Quando il signore con il cane si trovava ad una distanza di circa 10 metri, il rottweiler diede uno strappo al guinzaglio che sfuggì dalle mani del padrone.

Il grosso cane, sentendosi libero, cominciò a correre verso Andrea.

Quando l’ebbe raggiunto, gli si avventò contro e lo scaraventò a terra.

Con una furia bestiale, il rottweiler cercò di azzannare alla gola il povero Andrea.

Fortunatamente, il giovane riuscì a fermare il cane, prendendolo con le due mani per il collo.

La forza del cane era spaventosa e i suoi denti si avvicinavano sempre di più al collo di Andrea.

Proprio quando le forze di Andrea erano all’estremo, si sentì un grido: “Fermati Argo!!….” era il padrone che richiamava il suo cane.

Il rottweiler, sentendo quel richiamo, abbandonò subito la presa e si avviò scodinzolando verso il padrone.

“Mi scusi tanto” disse l’uomo “ma mi si è rotto il guinzaglio”.

Andrea non disse nulla.

Si alzò e, completamente frastornato, ricominciò ad avviarsi sulla strada.

Giunse alla via Tuscolana.

Si diresse nel senso della via verso il centro di Roma.

“Me la sono vista proprio brutta…” mormorò fra di sé “per colpa di questa stronzata…..ma ormai devo proseguire”.

Continuò a camminare con passo svelto.

Quando giunse nei pressi dell’ingresso della Banca di Roma si fermò.

Rimase terrorizzato per ciò che stava accadendo:

Due banditi, con la calzamaglia, stavano uscendo di corsa dalla banca.

Portavano una grossa borsa.

Nello stesso istante due volanti della Polizia si arrestarono proprio davanti alla banca.

I poliziotti scesero e, con le armi in pugno, intimarono ai rapinatori di fermarsi.

I due, vedendosi perduti, si avventarono su Andrea e, usandolo come scudo, gridarono: “Lasciateci andare, altrimenti lo ammazziamo”.

Tenevano una pistola sulla nuca di Andrea.

Alchè, un poliziotto, dotato di ottima mira, sparò un colpo che raggiunse uno dei due che era meno coperto dal corpo di Andrea.

Il bandito colpito stramazzò a terra e l’altro alzò le mani e si arrese.

Andrea rimase fermo impietrito davanti alla banca.

La polizia gli chiese se avesse bisogno di aiuto.

“No….no….stò bene….” disse Andrea, ma in effetti non stava proprio bene.

Si sentiva totalmente privo di forze.

“Ormai la stazione è vicina” mormorò “ce la devo fare”.

Arrivò alla stazione Metro Lucio Sesto.

Scese le scale.

Si recò presso la biglietteria.

Un cofanetto di metallo fuoriusciva da dietro un mobiletto.

Lo prese e, con le ultime forze rimastogli, lo aprì.

Dentro c’era il solito foglio piegato.

Lo lesse: “Sei stato bravo……farai parte come concorrente alla prossima edizione del Grande Fratello”.

Andrea crollò a terra svenuto.

 

Nota dell’autore:

  • Argo è un cane addestrato alle riprese cinematografiche, il padrone è il suo addestratore.
  • I poliziotti ed i banditi sono attori figuranti.

 

Il paesaggio.

Il nonno osservava, con aria compiaciuta, la sua ultima creazione: un paesaggio montano, in scala ridotta, composto da un tracciato ferroviario che partiva dalla stazione e, dopo aver attraversato una serie di gallerie scavate alla base di colline, creava un anello completo e tornava alla stazione.

All’interno dell’anello, il nonno aveva realizzato una piazzetta formata da una serie di edifici: una chiesetta, uno chalet, 2 case padronali e un asilo nido.

Il tutto era iniziato quando il nonno aveva costruito, con il polistirolo, una collina con galleria ed una stazioncina ferroviaria.

Per far giocare i suoi due nipotini: Jacopo e Lorenzo, adattando un trenino con binari che avevano.

I nipotini giocavano allegramente.

Pertanto, il nonno pensò di completare l’opera creando un intero paesaggio.

Consultò, su internet, vari siti di fermodellistica.

Ne trovò alcuni con paesaggi molto interessanti.

Prendendo spunto da uno di essi, con una sua tecnica particolare, realizzò il paesaggio che quella sera stava osservando.

Dopo aver compiuto la “visitina” alla sua creazione, come faceva tutte le sere, andò a dormire.

Appena addormentato, cominciò a sognare.

Stava passeggiando ai bordi di una strada.

La strada portava ad una piazzetta.

Una volta giunto nella piazzetta, si avvicinò al cancello d’ingresso del “Paradiso dei bimbi”: l’asilo nido del villaggio.

“Salve bimbi” disse il nonno ai bambini che giocavano sul prato dell’asilo.

“Ciao nonno” risposero i bimbi in coro “vieni a giocare con noi?”.

“Sto passeggiando” rispose il nonno “magari al ritorno”.

Continuando la passeggiata si ritrovò davanti al cancello della casa dei signori Berardi.

Il signor Berardi stava falciando l’erba del suo giardino.

“Salve signor Mario” disse il nonno “non la falciate troppo quell’erba, tanto poi ricresce”.

“E già, ma così la vuole la signora” rispose il signor Berardi “nonno, perché non vieni che ci facciamo un bel caffè?”

“Volentieri” aggiunse il nonno “ma vorrei completare la passeggiata e poi ho un appuntamento con il treno delle 11 e un quarto”.

Continuò a dirigersi verso la stazione.

Si fermò al cancello dello chalet: “La dolce vita”.

“Non vi affaticate troppo….” Esclamò il nonno, rivolgendosi ai turisti che stavano sdraiati al sole.

“E’ una vitaccia…..” rispose uno dei turisti.

Subito dopo lo chalet, il nonno si fermò davanti al cancello della casa dei signori Bonanni.

“Signora” disse il nonno alla signora Bonanni, che stava stendendo i panni nel giardino, “con questo magnifico sole si asciugano subito”.

“Salve nonno” rispose la signora “perché non viene dentro che le offro una fetta di torta?”

“Grazie signora” rispose il nonno “ma c’è un treno che mi aspetta….”

Infine, il nonno, passando davanti alla chiesetta, arrivò alla stazione appena in tempo per vedere passare il treno delle 11 e un quarto.

Era un treno passeggeri con una vecchia locomotiva a vapore che piaceva tanto al nonno.

Alchè, dopo aver acquistato il giornale all’edicola della stazione, si sedette sulla panchina esterna.

Letti alcuni articoli, si alzò, ripiegò il giornale e lo posò sulla panchina.

Si diresse con passo lento ma deciso verso la sua abitazione.

A quel punto il nonno si svegliò: fine del sogno.

Essendo già quasi mattina, si alzò e si diresse, come faceva tutte le mattine, alla stanza dove era “il paesaggio”.

Osservando bene, si accorse che sulla panchina della stazione vi era un giornale ripiegato.

“E questo chi ce l’ha messo?” si domandò il nonno.

Prese una lente di ingrandimento e lesse la data del giornale.

LA DATA ERA QUELLA DI QUEL GIORNO……….

 

Il pettirosso.

Era di sera.

“Ma porca miseria, possibile che capitano tutte a me!”

Si lamentava Giuseppe.

Aveva ragione a lamentarsi.

Nei giorni precedenti a quella sera, gli erano capitate di tutti i colori.

Il mese prima, una mattina, uscì con la sua autovettura: una Volvo nuova fiammante.

Si recò presso un edificio adibito ad uffici, dove aveva un appuntamento di lavoro.

Parcheggiò regolarmente la Volvo e si avviò verso l’ufficio, sede del suo appuntamento.

Dopo aver discusso su questioni di lavoro con la persona interessata, lasciò l’edificio.

Si diresse verso l’autovettura parcheggiata.

La sua bella Volvo non c’era più!!

Disperato, si recò alla Polizia per denunciare il furto avvenuto.

Da quel giorno, fino a quella sera, la sua bella Volvo non era ancora stata ritrovata.

15 giorni prima di quella sera, una mattina sentì suonare il citofono.

Era il postino che gli diceva che c’era una raccomandata per lui.

Ritirò la raccomandata.

Era un comunicato della Polizia Stradale.

Gli avevano inflitto una multa di 750 euro per eccesso di velocità.

Era stato ripreso dall’autovelox.

La data era di tre giorni prima.

“Ma come è possibile?” si domandò Giuseppe “in quel giorno la Volvo non c’era!”

Si recò alla sede della Polizia Stradale.

Fece vedere la denuncia dello smarrimento dell’autovettura che riportava la data: precedente al giorno comunicato dalla Polizia Stradale.

“Mi dispiace, signore” gli risposero “ma nella foto dell’autovelox risulta la targa della sua vettura.”

Gli fecero vedere la foto.

Si vedeva il posteriore di una Volvo (come la sua) con la targa EF 240 BD (come la sua).

Lo zero della numerazione era leggermente macchiato.

Sconsolato, si diresse verso casa.

Una settimana dopo gli accadde il fatto più sconvolgente.

Il suo amato cagnolino Billy era sparito.

Era uscito una sera con il cane al guinzaglio.

Lo stava portando al parco sotto casa per fare i bisogni.

Gli tolse il guinzaglio.

Improvvisamente, Billy si mise correre e scomparve nel buio della sera.

Giuseppe lo richiamò, disperato, per tutto il parco, per circa due ore.

Billy non si fece più vedere.

Quella sera, Giuseppe, ripensando ai fatti accadutogli, triste e sconsolato, andò a dormire.

Appena addormentato, cominciò a sognare.

Si trovava nella sua cucina.

Un pettirosso entrò dalla finestra socchiusa e cominciò a svolazzare sui pensili della cucina.

Suonarono alla porta.

Andò ad aprire.

Era un signore dall’aspetto molto ordinato.

“Signor Giuseppe” gli disse “sono il signor Mario. Abito 3 isolati più in là. E’ una settimana che vedo posteggiata sotto casa mia una Volvo. Incuriosito, ho richiesto una visura della targa alla Polizia. Risultava a suo nome e vi era stata una denuncia di smarrimento dell’autovettura. Alchè mi sono precipitato ad avvertirla.”

“Signor Mario” rispose Giuseppe “non so come ringraziarla. Mi ha reso veramente felice.”

Andò con il signor Mario a riprendersi la Volvo e la parcheggiò nel suo posto macchina, situato nel cortile condominiale.

Risalì in casa.

Il pettirosso svolazzava nel soggiorno.

Sotto la porta d’ingresso, sul pavimento c’era una lettera.

La lesse.

Era un comunicato della Polizia Stradale.

 

Diceva che c’era stato un errore nel visionare la foto dell’autovelox: la targa ripresa era EF 249 BD e non EF 240 BD come la sua.

“Dio sia lodato!” esclamò Giuseppe.

Il pettirosso continuava a svolazzare.

Ad un tratto, sentì raspare alla porta d’ingresso.

Completamente frastornato, andò ad aprire.

Billy era tornato!!

Fù a quel punto che Giuseppe si svegliò.

“Peccato, era proprio un bel sogno” si disse sconsolato.

Era già mattina.

Si alzò e si diresse verso la cucina.

Sul davanzale della finestra c’era un pettirosso che lo guardava tutto impettito.

Giuseppe si avvicinò.

Il pettirosso non si mosse.

Guardò al di sotto.

Nel cortile condominiale, al suo posto macchina c’era la sua bella Volvo.

Non credette ai suoi occhi.

Il pettirosso, nel frattempo, si alzò in volo e si diresse verso il soggiorno.

Si posò sopra il tavolo da pranzo.

C’era un foglio.

Giuseppe lo prese.

Era la comunicazione dell’avvenuto errore nella visualizzazione della targa.

Giuseppe non era più nella pelle.

Il pettirosso si alzò e si diresse verso lo stanzino dove c’era la cuccia del cane.

Giuseppe lo seguì.

Rimase completamente di stucco per ciò che vide:

Billy, il suo amato cagnolino, dormiva tranquillamente sdraiato nel suo cuscino.

Il pettirosso, con un volo repentino, si diresse verso la finestra della cucina e volò via.

 

La coppa di Ferragosto.

Era un pomeriggio d’estate dei primi del mese di Agosto.

Vittorio rientrò, con il suo catamarano, all’ormeggio del “Vela Azzurra” circolo velico sul lago di Garda, del quale era un iscritto.

Aveva compiuto, come tutti i giorni, una serie di manovre di allenamento come preparazione alla partecipazione a regate veliche organizzate dal circolo.

Disarmò l’imbarcazione e si avviò verso l’uscita della struttura velica.

Passando nella sala di soggiorno, si fermò davanti alla vetrina che ospitava tutte le coppe del circolo.

Si soffermò, in particolare, sulla “Coppa di Ferragosto”.

La coppa era quella che, ogni anno, il circolo assegnava al vincitore della regata che si svolgeva il giorno di Ferragosto.

Chissà se un giorno riuscirò a vincerla!!” esclamò Vittorio dentro di se.

Erano 4 anni che Vittorio partecipava a quella regata senza riuscire a vincere.

Si avviò, malinconicamente, verso l’uscita.

Montò sul motorino e si diresse verso casa.

Dopo cenato, stanco per le fatiche degli allenamenti, andò a dormire.

Appena addormentato cominciò a sognare.

Si trovava, insieme ad un altro catamarano, sulla linea di partenza della regata di Ferragosto.

La regata si svolgeva con un percorso a “bastone” fra due boe, da effettuare 4 volte, con andatura di bolina il primo tratto e con andatura in poppa il tratto successivo.

La barca della giuria scandì il tempo della partenza.

Al via i due catamarani tagliarono, quasi simultaneamente, la linea di partenza con direzioni diverse.

La barca di Vittorio arrivò alla Lay Line di destra in leggero anticipo rispetto all’altra barca, che si era diretta verso la Lay Line di sinistra.

Si incrociarono con un leggero vantaggio di Vittorio.

Arrivarono alla seconda boa quasi appaiati.

Vittorio riuscì a compiere il giro di boa con un vantaggio di circa 10 secondi.

Nel secondo tratto, con andatura in poppa, Vittorio mantenne il vantaggio acquisito e arrivò al giro di boa con un vantaggio di circa 5 secondi.

Nel terzo tratto, con andatura di bolina, fu la barca avversaria ad avvantaggiarsi, sfruttando un maggior vento nella zona che aveva scelto.

Doppiò la seconda boa con un vantaggio di circa 15 secondi sulla barca di Vittorio.

Iniziò l’ultimo tratto, con andatura in poppa.

La barca dell’altro mantenne il vantaggio fino a circa metà del percorso.

Giunti a circa 200 metri dal traguardo, Vittorio si rese conto che, mantenendo quella traiettoria, non aveva nessuna probabilità di vittoria.

Strambò e si diresse verso la Lay Line di sinistra.

Giunto alla Lay Line strambò nuovamente e si diresse alla linea del traguardo.

L’avversario mantenne il vantaggio.

Giunti a circa 100 metri dal traguardo, un improvviso colpo di vento fece balzare in avanti la barca di Vittorio.

Con l’aiuto del vento rinforzato si avvicinò all’avversario.

La raggiunse e arrivarono sulla linea del traguardo appaiati.

Ci volle il fotofinish per stabilire il vincitore.

Dopo una snervante attesa, la giuria aggiudicò la regata a Vittorio, che aveva superato l’avversario di soli 30 centimetri.

Alla premiazione Vittorio ricevette la “Coppa di Ferragosto” dalle mani del Presidente del Circolo.

Scoppiò in un pianto dirotto.

Fù a quel punto che Vittorio si svegliò.

Rendendosi conto che aveva sognato, esclamò: “Peccato, ci avevo proprio creduto!!

Essendo già mattina, si infilò gli infradito e si diresse verso la cucina per farsi il caffè.

Passando per il soggiorno, si fermò e rimase sbalordito per ciò che aveva visto:

SUL TAVOLO DA PRANZO C’ERA LA “COPPA DI FERRAGOSTO”.

 

Ma come fà?….

Berto e Pino si incontrarono al campo sportivo.

“Visto che stiamo quà” disse Berto all’amico “perché non ci sfidiamo in qualche gara di atletica?”

“Accetto” rispose Pino “ti distruggo!!”

“Vedremo…” incalzò Berto.

Stavano iniziando a scegliere il tipo di gara con il quale volevano competere, quando scorsero una piccola figura che si avvicinava a loro dal bordo del campo.

Era un ragazzino della loro età, piccolo di statura, con la testa piena di riccioli neri.

Il piccoletto si avvicinò.

“Ragazzi, posso giocare con voi?” disse con fare molto rispettoso.

“Certamente” risposero in coro Berto e Pino.

“Stavamo appunto sfidandoci in qualche gara.”

“Vediamo di distruggere questo piccoletto…” borbottò Berto all’orecchio di Pino.

“Allora decidiamo la prima gara” disse Pino “va bene una corsa di duemila metri?”

“Benissimo!!” risposero in coro Berto ed il piccoletto.

I ragazzi si disposero sulla linea di partenza.

“Al mio via si parte” disse Pino mettendosi in posizione di partenza “via!!”

I ragazzi partirono.

Berto e Pino iniziarono con un’andatura abbastanza tranquilla, sapendo che dovevano effettuare ben sei giri di campo.

Il piccoletto partì a razzo.

“Ma ndò và questo?” dissero i due “vedrai che dopo i primi giri si spompa.

Difatti, dopo aver compiuto i primi due giri, il piccoletto rallentò con la lingua di fuori.

“Ma ndò vai!!” gli urlarono Berto e Pino superandolo agevolmente.

Berto e Pino completarono i primi quattro giri accoppiati, aumentando man mano l’andatura.

Il piccoletto, distaccato di quasi un giro, ansimava cercando di ridurre il distacco.

Giunti all’inizio dell’ultimo giro, Berto e Pino aumentarono l’andatura, contendendosi l’arrivo sul traguardo.

Erano sulla direttiva di arrivo, sempre affiancati.

Non si accorsero che il piccoletto era partito come un razzo, aveva ridotto enormemente il distacco e giunto a circa trenta metri dal traguardo, li superò e vinse la gara.

“Ma guarda questo, ma come ha fatto???” esclamarono i due, trafelati, sulla linea del traguardo.

“Dobbiamo trovare qualcosa che lo distruggiamo…” disse Berto.

“Proviamo con il lancio del peso” rispose Pino “piccolo com’è, gli cascherà sulle palle!!”

Si spostarono sulla piazzola di lancio.

“Facciamo due tiri ciascuno, vince chi và più lontano” disse Berto.

Cominciò Pino.

Con un discreto stile lanciò il peso ad una distanza di circa 8-9 metri.

Berto segnò con un legnetto il punto dove era caduto il peso lanciato da Pino.

Lanciò a sua volta.

Il peso andò a cadere in prossimità del legnetto di Pino.

Toccò al piccoletto.

Sollevò il peso dal terreno.

Sembrava che avesse sollevato un autotreno!!

Si portò sulla pedana di lancio.

Con il peso poggiato sulla spalla, provò a lanciarlo.

Atterrò poco più avanti del cerchio della pedana.

I due ragazzi sghignazzarono….non molto convinti.

Berto lanciò il secondo tiro.

Il peso atterrò poco più avanti dei due legnetti.

Berto spostò il suo legnetto nella nuova posizione.

Lanciò Pino.

Il peso atterrò vicinissimo al legnetto di Berto.

Anche Pino spostò il legnetto e disse “sono quasi uguali, facciamo tirare il piccoletto e dopo li misuriamo esattamente”.

Il piccoletto raccolse il peso dal terreno.

Sembrava che avesse sollevato una piuma!!

Si portò, saltellando, in prossimità della pedana di lancio.

Si pose circa 9 metri dietro la pedana.

Con il peso saldamente stretto nella mano destra, eseguì una serie di tre capriole in avanti.

Al termine della terza capriola giunse all’interno del cerchio della pedana e da lì, stendendo il braccio che teneva il peso, lanciò.

Il peso descrisse nell’aria un arco, la sommità del quale era circa sulla posizione dei due legnetti.

Andò a cadere ad una distanza di circa 10 metri dai legnetti.

I due ragazzi si guardarono con gli occhi spalancati.

“Non è possibile…..ma come ha fatto!!!” gridarono all’unisono.

“Senti” disse Berto desolato “ci rimane un’ultima possibilità, proviamo con il salto in alto, piccolo com’è passerà sotto l’asticella”.

Disposero l’asticella a metri 1,45.

Il piccoletto non superava metri 1,30 di altezza.

Sia Berto che Pino saltarono sopra l’asticella con un discreto stile.

Il piccoletto, dopo una breve corsa, accennò una specie di salto dell’asticella, ma rinunciò e ci passò sotto.

I due risghignazzarono, sempre più poco convinti.

Alzarono l’asticella a metri 1,65.

La superarono ambedue abbastanza agevolmente.

“Adesso vediamo che fa questa pulce….” disse Berto sottovoce.

Il piccoletto si avvicinò alla zona di salto e, servendosi di una scala, alzò l’asticella ad un’altezza di metri 2,20.

Si portò ad una distanza di circa metri 10 dall’asticella, in posizione centrale.

Si girò con la schiena rivolta alla zona di salto.

Si piegò sulle ginocchia e con uno scatto dei reni, eseguì una capriola all’indietro e ricadette dritto in piedi.

Ripetè la stessa capriola per due volte, portandosi nei pressi dell’asticella.

Al termine della terza capriola, si inarcò in alto e, con un perfetto arco, superò l’asticella di ben 50 centimetri.

Ricadde dritto in piedi, dopo aver eseguito un volteggio completo nell’aria.

I due ragazzi rimasero impietriti ai bordi della pista.

Non riuscirono nemmeno ad aprire la bocca.

Il piccoletto si avvicinò ai ragazzi.

“Grazie ragazzi, mi sono proprio divertito” disse, tutto soddisfatto.

Dopodichè si avviò, con passo saltellante, verso l’uscita.

I due ragazzi, dopo essersi ripresi dallo sconforto, lo guardarono mentre si allontanava.

Fù a quel punto che si accorsero di un qualcosa che li lasciò completamente esterefatti:

AL PICCOLETTO, GLI STAVA CRESCENDO LA CODA!!!!!!

 

Mister Drone 2 (Coliandro)

Pippo e Gianni stavano armeggiando, sul terrazzo del loro condominio, ad un telecomando dotato di uno schermo display che comandava un drone che sorvolava i tetti degli edifici adiacenti.

Ad un certo punto Gianni fu attirato da qualcosa che appariva sullo schermo.

Un uomo in canotta e slip stava disteso su una sdraio nel terrazzo di copertura di un edificio davanti a loro.

Il cellulare dell’uomo, poggiato sul pavimento, cominciò a squillare.

L’uomo si alzò con aria svogliata e pronunciando la fatidica frase: “Che giornata di merda!!…” rispose al telefono.

“Ehi Pippo!…” esclamò Gianni “ma quello non è Coliandro, l’ispettore di Polizia, vediamo un po’ cosa fa”.

Il drone si soffermò sopra il terrazzo di Coliandro.

L’ispettore dopo aver risposto con modo brusco al telefono si diresse dentro casa.

Dopo un po’ lo videro uscire dal portone e montare sul suo coupè rosso ed allontanarsi.

“Peccato…” esclamò Gianni “se ne è andato”.

Stava per dirigere il drone verso altri obiettivi, quando vide una persona con tuta e cappuccio neri e zaino sulle spalle che entrava sul terrazzo di Coliandro.

L’incappucciato si diresse verso lo sportello del contatore del gas ed estrasse un involucro dallo zaino e lo collocò all’interno del contatore.

Gianni, nel frattempo, aveva azionato lo zoom e lo aveva indirizzato verso l’involucro.

“Ma quella è una bomba!!…” esclamò Gianni con fare allarmatissimo.

Il tizio dopo aver collocato la bomba, richiuse lo sportello e si allontanò frettolosamente.

“Bisogna avvisare Coliandro assolutamente” disse Gianni “sarà sicuramente andato al Posto di Polizia”.

Gianni si precipitò giù per le scale e montato sul motorino si diresse verso il Posto di Polizia.

Una volta entrato trovò Berta e Gambero che armeggiavano alla macchina del caffè.

“Devo assolutamente parlare con l’ispettore Coliandro” disse Gianni “è una cosa della massima importanza”.

“Coliandro è uscito proprio adesso” rispose Gambero “si è recato in via delle Molette n.72 per un controllo di routine”.

Gianni si precipitò fuori e montato sul motorino si avviò verso l’indirizzo indicato da Gambero.

Giunto sul posto vide il coupè rosso di Coliandro parcheggiato davanti al portone.

Attese pazientemente l’uscita dell’ispettore.

Ad un tratto vide due persone uscire di corsa dal portone e subito dietro l’ispettore Coliandro, accompagnato da una donna, che li stava inseguendo.

Le due persone salirono frettolosamente su di una vettura e sgommando si allontanarono.

Coliandro con la donna immediatamente salirono sul coupè e si misero all’inseguimento dei due.

Gianni, prontamente, mise in moto il motorino e si mise anch’egli all’inseguimento del gruppo.

Dopo aver sfrecciato per i vari vicoli del quartiere, il gruppo si diresse verso uno spiazzo all’aperto.

L’auto dei due si fermò in mezzo allo spiazzo.

Coliandro fermò anch’egli l’auto con il muso rivolto verso l’auto dei due.

I due scesero dalla macchina e si diressero verso Coliandro.

Anch’egli scese dalla macchina e con la pistola in pugno intimò ai due: “Siete in arresto”.

I due si avvicinarono a Coliandro e quando erano a circa un metro da lui, uno dei due con un calcio fece volare la pistola dalla mano di Coliandro e avvicinandosi ancora di più gli sferrò un poderoso pugno in pieno viso.

Coliandro stramazzò al suolo.

I due risalirono sulla macchina e si allontanarono.

La donna che era rimasta sulla vettura di Coliandro, si affrettò a soccorrere Coliandro.

Lo caricò, ancora svenuto, sulla vettura e sgommando si allontanò frettolosamente.

Gianni, che aveva assistito alla scena, nascondendosi dietro un cespuglio, risalì sul motorino e si diresse verso la direzione che la macchina di Coliandro aveva intrapreso.

Ormai la vettura era scomparsa e Gianni sconsolato tornò al suo condominio.

Salì di corsa sul terrazzo dove era rimasto Pippo.

“Hai visto per caso rientrare Coliandro?” gli chiese “no, non l’ho visto” rispose Pippo.

Gianni non sapeva più cosa fare.

Non osava salire al condominio di Coliandro per la paura che la bomba scoppiasse.

Mentre era in attesa sul terrazzo vide sulla strada avvicinarsi la macchina di Coliandro.

Dalla macchina scesero Coliandro e la donna. I due salirono precipitosamente all’abitazione di Coliandro.

Gianni non sapeva come avvertirli della bomba.

Ad un certo punto gli venne un’idea: richiamò il drone e dopo avergli fissato un biglietto con scritto: “Attenzione c’è una bomba nel contatore del gas” lo indirizzò di nuovo sul terrazzo di Coliandro e lo fece posare sul pavimento.

Dopo qualche istante Coliandro uscì sul terrazzo ed accortosi del drone lo stava per scagliare fuori dal parapetto.

Si accorse del biglietto e lo lesse.

Gianni si sbracciava ed indicava il contatore del gas.

Coliandro si diresse immediatamente verso lo sportello, lo aprì ed estrasse l’involucro che l’incappucciato aveva collocato.

Il timer indicava 30 secondi allo scoppio.

Coliandro, con l’involucro in mano, si diresse verso il parapetto del terrazzo con l’intenzione di gettarlo in strada.

Si trattenne.

In strada c’erano diverse persone che camminavano.

Mancavano 20 secondi.

Coliandro, disperato, non sapeva cosa fare.

Fù in quel momento che sopraggiunse, nella corsia adiacente al portone, un camion con il cassone pieno di sacchetti neri della spazzatura.

Mancavano 10 secondi.

Coliandro, quando il camion transitava sotto il suo terrazzo, dopo un attimo di esitazione, scagliò l’involucro in direzione del cassone del camion.

L’involucro centrò in pieno il centro del cassone.

Ci fù una enorme esplosione.

Il cielo, da azzurro che era, si fece improvvisamente scuro.

I sacchetti della spazzatura avevano oscurato la luce solare.

 

Mister Drone.

Pippo e Gianni stavano armeggiando, sul terrazzo del loro condominio, ad un telecomando dotato di uno schermo display.

“Guarda un po’ chi t’ho beccato!…..” esclamò Pippo rivolto a Gianni che era affacciato al parapetto.

Gianni si avvicinò e sullo schermo vide un uomo ed una donna seminudi che si rotolavano sopra un lettino a due piazze, avvinghiati.

“Guarda un po’ sti due come gli danno giù!….” esclamò.

Il drone, comandato da Pippo, aveva fatto il suo dovere.

I due guardarono lo schermo con morboso interesse.

Alchè, avvenne che dalla portafinestra che dava sul terrazzo uscì una donna.

Era vestita come se fosse rientrata in quel momento.

La nuova arrivata cominciò a dire qualcosa ma, rendendosi conto di quello che stava accadendo, iniziò ad urlare come una pazza.

La donna seminuda si alzò di scatto e, recuperati i vestiti, corse via all’interno dell’appartamento.

La signora appena giunta, sempre continuando ad urlare, cominciò a scagliare contro il marito (o compagno) tutti i vasi che erano allineati sul bordo del terrazzo.

Alcuni andarono a vuoto, altri lo colpirono, anche nelle parti basse.

Il marito (o compagno), cercando di ripararsi dai proiettili lanciati dalla moglie (o compagna), si precipitò all’interno dell’appartamento, seguito dalla moglie (o compagna).

I due ragazzi che avevano seguito tutta la scena sullo schermo, sghignazzarono e, maggiormente divertiti, immaginarono quello che stava succedendo all’interno dell’appartamento.

“Andiamo a vedere se Mister Drone ci offre qualche altra cosa interessante” disse Pippo, manovrando il telecomando.

“Guarda….guarda!!” esclamò Pippo dopo un po’.

Gianni si precipitò.

Sullo schermo apparve una bellissima ragazza bruna, sdraiata su di un lettino.

Portava solamente uno striminzito tanga.

“Ammazza che tette c’ha questa!!” esclamò Gianni con grande enfasi.

I due guardavano estasiati, quando videro la ragazza alzarsi e dirigersi all’interno dell’appartamento.

“Fine dei giochi!….” Disse Pippo contrariato.

“Aspetta…aspetta…” replicò Gianni “rieccola!…”

Difatti la ragazza riapparve sul terrazzo accompagnata da un giovane con la barba.

Discutevano animatamente.

Il giovane teneva la ragazza per le spalle e gli diceva qualcosa con fare alterato.

La ragazza, quasi piangendo, scuoteva la testa.

L’uomo, con un cenno di saluto abbastanza sgarbato, si allontanò ed uscì.

I due continuarono a guardare lo schermo.

Videro la ragazza che si sdraiava nuovamente sul lettino.

Aveva una espressione triste.

Dopo un po’, la donna si alzò e prese il cellulare che aveva su di un tavolino.

Rispose.

Nel suo viso notarono una espressione terrorizzata.

Sicuramente aveva ricevuto una inquietante minaccia.

Lasciò il cellulare e si distese sul lettino piangendo disperatamente.

Dopo un po’ smise di piangere e muovendosi lentamente come un automa si alzò.

Sempre lentamente si avviò all’interno dell’appartamento.

“Chissà che gli stà succedendo…..povera ragazza…” disse Gianni con aria triste.

“Mah…” disse Pippo “andiamo a vedere che altro c’è…”.

Dopo qualche minuto Gianni, sempre affacciato al parapetto, rivolse l’attenzione verso qualcosa che stava succedendo di sotto.

La ragazza, vestita con jeans e giubbotto di pelle, stava uscendo dall’ingresso del condominio.

“Guarda!…..” esclamò Gianni “eccola lì!…” e si lanciò verso le scale.

“La vado a consolare!….” urlò.

Scese di corsa le scale ed, uscito su strada, si diresse nella direzione che aveva preso la ragazza.

Dopo breve tempo la raggiunse.

Camminava lentamente, guardando fisso davanti a se con aria assente.

Gianni cercò di avvicinarsi.

Quando era quasi giunto vicino, la ragazza si fermò e si girò.

Guardava, sempre con aria assente, verso l’altro lato della strada.

Il suo sguardo era diretto verso l’ingresso di un edificio residenziale.

Sopra l’ingresso sventolavano due bandiere: una Italiana e l’altra di un paese sconosciuto (per lo meno agli occhi di Gianni).

Ai lati dell’ingresso vi erano due militari con le armi in pugno.

La ragazza, sempre lentamente, cominciò ad attraversare la corsia stradale, non curandosi delle macchine che sopraggiungevano.

Una prima autovettura frenò bruscamente, fermandosi a pochi centimetri dalla ragazza.

“Fermati!….” urlò Gianni.

La ragazza continuò a muoversi con passo lento.

Un grosso camion sopraggiungeva nell’altra corsia dall’altro lato.

Gianni, rendendosi conto del pericolo che correva la ragazza, si lanciò verso di lei.

La spinse violentemente fuori dalla corsia stradale e caddero abbracciati sul marciapiedi.

Rimasero a terra così avvinghiati per un po’ di tempo.

Fù allora che Gianni vide qualcosa che si intravedeva da sotto il giubbotto che si era aperto a causa del trambusto.

La ragazza, sotto il giubbotto, portava una vistosa cintura esplosiva.

 

Nota dell’autore:

Gianni e la ragazza bruna sono, attualmente, felicemente sposati.

“Mister Drone” continua a ronzare sopra le terrazze dei condomini.

 

Ramon…..Ramon…..

Ramon era un ragazzo di 14 anni.

Fin da piccolo era un grande appassionato di corride.

Quando aveva la possibilità, non si perdeva di assistere ad una corrida alla mitica Plaza de Toros.

In particolare quando sull’arena gareggiava il grande El Cordobes.

Conosceva tutte le sue mosse più famose.

Le ripeteva ogni sera davanti allo specchio.

Anche quella sera si esibì allo specchio con una serie di veroniche, simulando il toro con il carrello della spesa.

Andò a dormire e poco dopo cominciò a sognare.

Nel sogno si trovava al centro dell’arena della Plaza de Toros.

Gli spalti erano gremiti di pubblico.

Tutti gridavano: “Ramon….Ramon….”.

Si guardò intorno con aria smarrita.

“Ma come sono capitato qui…” mormorò fra di se.

Ad un tratto, da una porta laterale dell’arena, uscì un enorme toro infuriato.

Aveva un aspetto spaventoso.

Cominciò a caricare i picadores, che lo fecero infuriare ancora di più lanciandogli le banderillas sulla schiena.

I picadores si ritirarono.

Ramon aveva assistito alla scena sempre immobile al centro dell’arena.

Il toro si accorse della sua presenza.

Dopo un attimo di esitazione, la bestia si lanciò alla carica verso il povero Ramon.

Il ragazzo, terrorizzato, rimase fermo impietrito in quella posizione.

Il toro, galoppando furiosamente, giunse ad un passo da Ramon.

Fù in quel preciso istante che il giovane si svegliò.

Era seduto sul letto, madido di sudore.

“E’ solo un sogno….è solo un sogno…” si ripeteva per cercare di  tranquillizzarsi.

Dopo un po’, riacquistata la calma, si rimise a dormire.

Appena addormentato, riprese il sogno nel momento esatto del suo risveglio.

Lo scenario, però, era differente.

Il toro continuava a caricare.

Ramon era sempre al centro dell’arena.

Questa volta, però, era vestito con la caratteristica tenuta da matador.

Nella mano destra impugnava il legno che reggeva la muleta.

La sinistra impugnava la spada, nascosta dietro la schiena.

Il toro giunse su di lui, pronto ad incornare.

Con una veronica perfetta, Ramon evitò l’incornata.

Il pubblico gridava: “Ramon….Ramon….”.

Il toro caricò ripetutamente.

Ramon, nell’occasione, si esibì in una serie di veroniche, degne del migliore El Cordobes.

La bestia, ormai allo stremo delle forze, si fermò ansimante davanti a Ramon.

Il sangue gli sgorgava dal muso e dalle ferite causate dalle banderillas.

Ramon gettò la muleta ed impugnò la spada con la mano destra.

Si mise in posizione davanti al muso del toro.

Con un preciso colpo, affondò la spada fra le scapole della bestia e la punta acuminata raggiunse il cuore.

Il toro stramazzò a terra, moribondo.

Fù in quel momento che Ramon, soddisfatto di se, decise di svegliarsi.

Si svegliò tenendo gli occhi ancora chiusi.

Quando riaprì gli occhi si aspettava di vedere il soffitto della sua camera.

Non fù così.

Era ancora al centro dell’arena ed ai suoi piedi c’era il toro agonizzante.

Il pubblico, impazzito, continuava a gridare: “Ramon….Ramon….”.

 

Riflessi d’argento.

Era un pomeriggio d’estate.

Mauro e Matteo passeggiavano sul Lungomare di Senigallia dopo una giornata passata al mare.

“Ma porca miseria” imprecò Mauro “non è possibile che dopo tre giorni non abbiamo ancora “beccato”.

“Non ti preoccupare” rispose Matteo fiducioso “vedrai che faremo qualcosa di buono, me lo sento, ascolta” continuò Matteo “perché non ci facciamo una bella mangiata di pesce da “Carlo”.

“Ottima idea” rispose Mauro “speriamo che servirà a farci passare l’arrabbiatura”.

“Salve ragazzi” li accolse Carlo “cos’è questa aria triste? Adesso ci penso io a rimettervi in gamba”.

Li fece accomodare ad un tavolo con una bella vista sul mare.

Cominciarono dagli antipasti, accompagnati da una generosa dose di Verdicchio.

Il morale già si era risollevato.

In quel momento entrarono nel locale due splendide ragazze. Una bionda e l’altra bruna.

“In che cosa posso servirvi?” le incrociò Carlo.

“Vorremmo mangiare un po’ di pesce” dissero le ragazze.

“Mi dispiace” rispose Carlo “ma come vedete i tavoli sono tutti occupati”.

Le ragazze, con aria mesta, stavano dirigendosi verso l’uscita, quando Carlo le richiamò.

“Sentite, belle ragazze, se per voi và bene, potreste sedervi a quel tavolo dove sono quei due ragazzi”.

“Grande Carlo!!!….” esclamarono all’unisono sottovoce Mauro e Matteo.

“Per noi va benissimo” dissero le ragazze “non sappiamo per i ragazzi”.

“Gli va bene….gli va bene” rispose Carlo con fare ammiccante.

Le ragazze, dopo le rituali presentazioni, si accomodarono al tavolo.

Gustarono magnificamente le varie portate che Carlo portava loro.

Alla fine delle portate (ed alla fine di tre bottiglie di Verdicchio….) i ragazzi e le ragazze si alzarono dal tavolo e, con andatura traballante, dopo aver salutato e “ringraziato…” Carlo con un abbraccio caloroso, si diressero verso l’uscita.

Si ritrovarono sul lungomare a passeggiare scherzando e ridendo (il Verdicchio era ancora in funzione….).

Giunti nei pressi della Rotonda, le ragazze, con decisione rapida, si diressero verso la spiaggia.

Mauro e Matteo, dopo un attimo di esitazione, si avviarono di corsa al seguito delle ragazze.

Dopo averle raggiunte, le abbracciarono e distesi sulla sabbia si profusero in calorose effusioni amorose.

Quando erano sul più bello, le ragazze si alzarono di scatto; si tolsero scarpe e vestiti e si tuffarono in mare.

Mauro e Matteo, rimasti un po’ sconcertati dal comportamento delle ragazze, si tolsero anch’essi scarpe e vestiti, si gettarono in acqua e cercarono di raggiungere le ragazze che nuotavano verso il largo con fare deciso.

Videro le ragazze allontanarsi rapidamente.

Non le avrebbero mai raggiunte.

Le ragazze continuarono a nuotare verso il largo seguendo la scia luminosa della Luna.

Fù a quel punto che Mauro e Matteo si accorsero dei riflessi d’argento che provenivano dalle ragazze.

Guardando più intensamente videro che i riflessi argentei apparivano e sparivano.

Provenivano da due splendide code che si immergevano ed emergevano simultaneamente.

Rosy.

“Senti fratellone…..” disse Rosy a suo fratello Renato, direttore alle vendite della Filiale Citroen di Roma. “ Uno di questi giorni ti deposito un pacco di dollari sulla tua scrivania e mi porto via la più bella macchina del salone”.

“Te lo auguro con tutto il cuore” rispose Renato, sorridendo. “Avvisami prima che te la faccio trovare con un bel fiocco rosa”.

Risero entrambi.

“A proposito” continuò Renato “so che domani, come tutti i giovedì, andrai a Ostia. Non ho mai capito che cosa ci vai a fare e non lo voglio sapere. Mi dovresti fare un favore. Devi andare al Bar del “Lido Azzurro” e devi chiedere del signor Riccardo: un bel ragazzo moro, siciliano. Gli dici che la sua macchina è pronta e che può venire a ritirarla”.

“Con molto piacere” rispose Rosy “il piacere sarà ancora più grande se questo Riccardo è veramente un bel ragazzo”.

Risero entrambi e si salutarono.

Il giorno dopo Rosy si recò a Ostia. Si diresse verso lo stabilimento “Lido Azzurro”. All’ingresso del bar c’era un’omone, vestito di nero, in piedi che scrutava da una parte e dall’altra.

Rosy si avvicinò “Scusi, sa dove potrei trovare il signor Riccardo?”.

L’omone si voltò verso l’interno del bar.

“Hei capo…. c’è una ragazza che ti cerca”.

Rosy si diresse verso un tavolo dove era seduto il signor Riccardo.

“E’ proprio un bel ragazzo….” mormorò.

“Sono la sorella del signor Renato della Citroen” cominciò Rosy “mio fratello mi ha incaricato di dirle che la sua macchina è pronta”.

“Benissimo, non vedo l’ora di andarla a ritirare” rispose Riccardo “è proprio un immenso piacere per me saperlo da una bella ragazza come te. Io sono Riccardo e tu?”

“Io sono Rosy”.

Si strinsero la mano.

Il Rolex che era al polso di Riccardo scivolò, misteriosamente, nella borsetta di Rosy.

“Prego accomodati che ti offro un bel gelato. Qui lo fanno buonissimo”.

“Con piacere” rispose Rosy e si accomodò nella sedia accanto a Riccardo.

“Rosy, che cosa fai di bello?”

“Sono studentessa all’ultimo anno di Ingegneria e tu che cosa fai?”

“Ehm….mi occupo di diversi affari in generale….” rispose Riccardo con aria enigmatica.

Rosy non insistette.

Continuarono a conversare allegramente scambiandosi reciproci complimenti.

Ad una certa ora Rosy si alzò.

“Adesso devo andare, mi ha fatto un immenso piacere conoscerti”.

Riccardo si alzò, le prese le mani e si avvicinò al suo viso.

“Rosy, il piacere più grande lo stò provando io in questo momento. Muoio dalla voglia di rivederti. Dal primo istante che ti ho vista ho sentito dentro di me qualcosa che si spezzava. Quel qualcosa farà cambiare in tutto e per tutto la mia esistenza”.

Così dicendo, Riccardo estrasse la pistola dalla cintura dei pantaloni e la depositò sul tavolo.

Una lacrima scese sulle guancie di Rosy.

Il Rolex scivolò misteriosamente, così come era entrato, dalla borsetta di Rosy sul tavolo, vicino alla pistola.

I due ragazzi si abbracciarono e si baciarono voluttuosamente.

 

La ruota del timone.

“Shangri La” contro “Huntress”

“Huntress” contro “Shangri La”

Gli equipaggi delle due imbarcazioni erano in continua competizione.

Io facevo parte dell’equipaggio dello “Shangri La”, un bel cabinato a vela di 10 metri con linee tradizionali, insieme ad Andrea, Carlo e Massimo.

Tutti architetti, o quasi, con studio in Roma.

Ogni anno trascorrevamo le vacanze di Agosto in barca all’isola di Ponza.

L’equipaggio dell’ “Huntress”, anch’esso un cabinato a vela di 10 metri, era composto da altrettanti architetti, anche loro con studio a Roma.

I due equipaggi, che si conoscevano da diverso tempo, si comportavano tra di loro in modo alterno, secondo le occasioni.

Quando erano a terra, formavano una allegra compagnia, dedicandosi a grandi mangiate e soprattutto a grandi libagioni.

Era famoso il classico “giro giro”.

Formavano un circolo nel pozzetto di una delle due imbarcazioni e si passavano, con un movimento rotatorio, la bottiglia di “Bacardi”.

Inutile dire che quando questa finiva ne appariva, miracolosamente, un’altra.

Le serate terminavano sempre con grandi risate ed allegri schiamazzi.

Capitava di frequente che qualcuno andava a dormire nella barca sbagliata e se ne accorgeva solo al mattino.

In mare, invece, era tutta un’altra musica.

Cominciava la guerra…..

Ci si sfidava a:

chi arrivava per primo alle isole limitrofe;

chi prendeva più pesci o i più grossi nelle battute di pesca subacquea;

chi impiegava meno tempo a salire in cima all’albero della barca.

I risultati erano di esito alterno.

Avvenne un giorno che i due equipaggi vennero a sapere, dagli abitanti del luogo, che vi era un relitto dell’ultima guerra in un fondale presso un’insenatura dell’isola.

Ci recammo sul posto indicato e ci immergemmo.

Il relitto era una piccola torpediniera della Regia Marina, lunga circa 50 piedi (15 metri), adagiata su un fondale di 12 metri.

Era in discrete condizioni.

Non capimmo il motivo per cui era affondata.

Era armata con 2 cannoncini: uno a prua e l’altro a poppa.

Due congegni lanciasiluri ai fianchi della nave.

La torretta di pilotaggio era senza la copertura.

Pertanto era in vista tutta la strumentazione di bordo.

In particolare la colonnina delle marce e la ruota che comandava il timone.

Cominciammo, di comune accordo (strano….), a studiare quali potevano essere i pezzi asportabili.

Iniziammo dai cannoncini: i pezzi più appetibili.

Vedemmo, subito, che non c’era nessuna possibilità di smontaggio.

Passammo alla strumentazione.

Ci accordammo (sempre più strano….).

Noi dello “Shangri La” ci saremmo occupati della colonnina delle marce.

Loro dell’”Huntress” della ruota del timone.

Dopo aver prelevato dalla stiva delle due imbarcazioni gli attrezzi necessari, ci recammo a bordo dei gommoni sul posto.

Eravamo 4 per ogni equipaggio.

Due si immergevano e due rimanevano sul gommone di appoggio.

Premetto che faceva parte dell’equipaggio dell’”Huntress” l’Arch. Ettore Rosi: campione regionale di immersioni subacquee.

Riusciva a stare in apnea per ben tre minuti.

Comunque anche il nostro Carlo Martignoni non era da meno.

Carlo e Andrea si immersero.

Io e Massimo rimanemmo sul gommone.

Carlo e Andrea cominciarono subito ad armeggiare alla colonnina delle marce.

Era fissata sul pavimento con dei bulloni.

Logicamente i bulloni erano molto deteriorati, privi quasi completamente delle sfaccettature.

Dopo diverse ore di lavoro e quindi dopo innumerevoli immersioni, Carlo e Andrea riuscirono a smontare la colonnina e issarla a bordo del gommone.

Ettore Rosi ed il suo compagno avevano incontrato maggiori difficoltà nello smontaggio della ruota del timone.

Dopo ore ed ore di tentativi, non erano riusciti nel loro intento.

Decidemmo di dargli una mano.

Carlo si immerse indossando le bombole di ossigeno.

Nonostante questo, Carlo ed Ettore non riuscirono a smontare la maledetta ruota del timone.

Si era fatta quasi sera.

Decidemmo di rientrare in porto con le due barche.

Quella sera non fù allegra come le altre sere.

Andammo a dormire.

Dopo alcune ore, mi svegliai sentendo dei rumori che provenivano dall’”Huntress”.

“Si staranno ubriacando per la delusione del recupero” pensai e mi rimisi a dormire.

Finì, purtroppo, il periodo di ferie.

Rientrammo ad Anzio, dove erano ormeggiate le due barche nel periodo invernale.

Ricominciò l’attività dello studio.

Si era creata l’usanza di riunire i due equipaggi, nei giorni festivi, a turno nei relativi studi.

Toccò al nostro.

Ettore ed i suoi osservarono, con aria malinconica, la colonnina delle marce che faceva bella mostra di sé su di un tavolo da disegno.

Festeggiammo comunque.

La domenica successiva ci recammo allo studio di Ettore Rosi e compagni.

Appena entrati dalla porta d’ingresso ci fermammo sbalorditi per ciò che avevamo visto:

APPOGGIATA AD UNA PARETE VI ERA “LA RUOTA DEL TIMONE”.