Belgio la fine di una generazione

Per bocca dello stesso De Bruyne la “golden generation” è arrivata al capolinea

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Belgio la fine di una generazione
Belgio la fine di una generazione

Belgio la fine di una generazione. Lapidario, inappellabile, sicuro. “Abbiamo una buona squadra ma ora è troppo tardi, siamo troppo vecchi. La grande occasione è stata nel 2018 e non l’abbiamo sfruttata”. Con queste parole Kevin De Bruyne spegne ogni miccia di speranza tra colleghi e tifosi. Vuole essere realista, non lasciarsi a dichiarazioni di contorno, magari anche stimolare una ricostruzione. Eppure fa effetto sentire ciò dalla colonna di una nazionale che fino ad ottobre era prima nel ranking, ininterrottamente dal 2018: grazie a frequenti goleade tra gironi di qualificazione ed amichevoli i belgi riuscivano a soppesare la mancanza nei grandi tornei, creando un perfetto bilanciamento. La prima volta che sentivo nominare il Belgio era il Mondiale 2014, dove con una squadra giovane si arrese solo ai quarti all’Argentina finalista. Dunque all’Europeo 2016 ce li siamo ritrovati ai gironi, dove ci davano per spacciati: Giaccherini e Pellé ammutolirono i Diavoli Rossi. Forse era quella la spia di una titubanza di troppo nelle grandi manifestazioni: in uno dei loro migliori periodi furono travolti da quella che è la Nazionale italiana meno qualitativa degli ultimi anni (anche se abbiamo fatto ben peggio). Poco importa, loro al Mondiale e noi no: nel 2018 battono il Brasile ma si inchinano alla Francia, poi campione. Ecco l’occasione non sfruttata, quella che Kevin ricorda con amarezza: il culmine qualitativo che non coincide con il trionfo. Due anni dopo ce li ritroviamo di nuovo all’Europeo: questa volta ci pensano Barella ed Insigne ad indirizzare i belgi sul viale del tramonto, che oggi sembra essersi realizzato. Una parziale scusante può essere ricercata negli avversari: solo all’Europeo 2016 (Ko vs Galles) il Belgio non ha incrociato una finalista.

Belgio la fine di una generazione, Mondiali 2022       

Ripercorrendo la storia recente dei Diavoli Rossi siamo giunti al Mondiale 2022. Come ogni nazionale che si rispetti il Belgio ha ottenuto la qualificazione con largo anticipo ed è stato inserito in un girone di media difficoltà, con Croazia, Marocco e Canada. La discussa partita contro i canadesi ha fruttato 3 punti, grazie ad un 1-0 risicato firmato da Batshuayi. Il pareggio tra marocchini e croati rendeva il tutto apparentemente roseo, ma a far diventare lo scenario tenebroso ci ha pensato proprio la nazionale del Maghreb. Il Marocco che schianta 2 a 0 il Belgio è una bellezza, tira folate in avanti e non rischia nulla in difesa, imbambolando i ragazzi di Martinez nel finale. Non sono una bellezza invece le immagini che ci arrivano da Bruxelles, dove dopo la vittoria il centro cittadino è stato messo a ferro e fuoco dai tifosi marocchini: immagini che sinceramente non vorremmo vedere, soprattutto nella città “europea” per eccellenza, che vive sbandierando il vessillo dell’inclusione e della multiculturalità. Si prospetta una terza giornata incendiaria, sia in Qatar che tra le strade della capitale belga. Il Marocco, al momento in grande spolvero, avrà davanti un Canada che sebbene abbia fatto vedere buone cose non spaventa; con una vittoria la qualificazione è in cassaforte. Dall’altro lato un’eccitante Croazia-Belgio: Modric&Co hanno rimesso il gruppo in ordine, adesso basta un pareggio; il Belgio invece è condannato a vincere. Un’eventuale uscita ai gironi certificherebbe la fine del ciclo, per questo i ragazzi di Martinez devono compattarsi per una sera e dare il tutto per tutto. Ma le parole di Vertonghen, che si agganciano a quelle di De Bruyne, fanno presagire ben altro: “Abbiamo giocato davvero male, soprattutto in attacco. Evidentemente siamo troppo vecchi anche lì per segnare…” Parole che sanno di sferzata, di rottura: l’aria nello spogliatoio del Belgio si taglia con un coltello.

Belgio la fine di una generazione, ricambio generazionale

Parole che arrivano da una stella come De Bruyne per rimbombare in tutto l’ambiente dei Diavoli Rossi meritano di essere analizzate: il Belgio è una nazionale vecchia? Paradossalmente si, se guardiamo le formazioni dal 2014 in poi. Origi, Lukaku e Mertens erano gli attaccanti, Hazard e De Bruyne già facevano compagnia a Witsel e la retroguardia – a difesa di Courtois – era presidiata da Vertonghen, Alderweireld e Vermaelen guidati da Kompany. All’Europeo 2016 Wilmots prova ad inserire qualche nuovo prospetto (Denayer, Meunier, Carrasco) ma appena Martinez si insedia capisce che la formazione con cui provare a vincere è una. Quindi viene rimandato un ipotetico ricambio, al centro di tutto tornano Kompany e Fellaini, nonostante l’età. Oggi sappiamo che la scelta non ha pagato, alla luce del terzo posto a Russia 2018. La foto perfetta che simboleggia ciò è la linea difensiva a tre che cade contro i nostri ragazzi all’ultimo Europeo: ancora una volta Alderweireld, Vermaelen e Vertonghen. E non differisce molto da quella che è oggi la formazione di Martinez, una squadra che non ha saputo rinnovarsi cercando di spremere una generazione che quasi sentiva addosso l’obbligo di vincere. Ancora oggi, in sostanza, il cardine del Belgio dalla porta alla punta è rimasto invariato: Courtois, i famosi difensori, Witsel, Hazard, De Bruyne e Lukaku. Difatti quest’anno, per la prima volta dopo un buon numero di rassegne, il Belgio è un outsider anche per gli allibratori. Ora la Croazia può definitivamente mandare a casa un pezzo di calcio degli anni ’10, sfruttando la situazione più che burrascosa nello spogliatoio degli avversari. Dinanzi a parole come quelle di De Bruyne, riecheggianti nel malcontento di Vertonghen, possiamo arrivare ad una conclusione: la “golden generation” belga è arrivata al capolinea.