Sostenibilità e Formula 1

La FIA deve seguire la “linea verde”?

Tempo di lettura: 6 Minuti
1056
Sostenibilità e formula 1

Sostenibilità e Formula 1. “Net Zero Carbon 2030” è lo slogan del piano, risalente al 2019, con il quale la Formula 1 mira a diventare una rassegna interamente sostenibile sotto la voce emissioni di carbonio. Sono diverse le sfaccettature della massima competizione automobilistica al mondo che finiscono sotto la lente dello studio. In primis la tecnologia motoristica e la realizzazione dei carburanti – come tratteremo in seguito – ma non solo: dall’uso di plastica che crollerà alla politica degli spostamenti molte cose sono destinate a cambiare. Un cambiamento che nasce dalla new politic portata da Chase Carey e dall’americanissima Liberty Media che hanno succeduto il “governo” Ecclestone, nell’ottica di aumentare lo show-business grazie al nuovo regolamento in vigore da quest’anno che ha ottenuto i risultati sperati. La nuova linea quindi non solo rivoluziona la sfera puramente sportiva con l’aumento delle gare in campionato, l’aggiunta delle colorite Sprint Race e la commercializzazione estrema del marchio attraverso Netflix, ma entra a gamba tesa su quello che è uno dei temi più reali e attuali del momento: la catastrofe climatica a cui andiamo incontro. Il piano è senza dubbio nobile, ma ho dei dubbi riguardo la sua attuazione in un mondo come quello del Motorsport. La verità è una, ovvero che la F1, la MotoGP e chi ne ha più ne metta, con la loro modernizzazione verso la purezza ecologica non cambieranno di una virgola le emissioni del pianeta, al massimo potranno smuovere qualche coscienza ma al momento le acque sono ancora burrascose. Da segnalare che la F1 “inquina” per 256 mila tonnellate di carbonio nel giro di una stagione (circa lo 0,0125% dell’inquinamento golobale), nell’interezza di tutti i processi dalla fabbrica alla bandiera a scacchi; stesso numero che nel medesimo arco di tempo è emesso da un numero di circa 30.000 famiglie inglesi, e il numero ci fa capire la reale dimensione delle emissioni. Dunque il “Net Zero Carbon 2030” non cambierà il mondo, si limiterà a sottrarre da un numero infinitamente più grande una briciola di 256 mila tonnellate; un po’ come se facessimo un “Net Zero English Families” insomma, eliminando le emissioni di queste famiglie il pianeta non ne gioverebbe nel concreto, potrebbe solo apparire più carino allo specchio dell’autocelebrazione.

Sostenibilità e Formula 1, la strategia per i motori

Al 2022 sotto questo ambito la rivoluzione è già iniziata: da quest’anno infatti i carburanti hanno una parte obbligatoria di etanolo, il 10%. Questo dato ha leggermente infastidito i team poiché l’etanolo comporta una variazione di potenza e una diminuzione dei cavalli non indifferente. La Ferrari con i suoi carburanti Shell, è riuscita a mantenere quasi invariata la potenza di erogazione creando un compromesso con l’etanolo. Ma è nel 2026 che arriverà il vero stacco dal DNA del Motorsport: si abbandoneranno i combustibili fossili, propulsori per 70 e più anni della “grande bellezza” del circus, per abbracciare l’utilizzo di un carburante proveniente esclusivamente da fonti rinnovabili. Se ciò piace ai proprietari a stelle e strisce, non piacerà sicuramente ai tifosi (europei) che già dall’ormai lontano 2014 rimpiangono i motori v10 e v8, che hanno cresciuto la più grande generazione di talenti mai arrivata in questo sport. Campioni del passato e del presente, come Vettel, Hamilton, lo stesso Verstappen a più riprese hanno sostenuto quanto manchino oggi alla F1 quelle tecnologie che all’alba del nuovo millennio avevano fatto il botto tra gli appassionati. Addirittura nel 2017 si arrivò a pensare a degli amplificatori sonori per aumentare il rombo, giudicato inaccettabile dai tifosi nostalgici che prediligono il volume più “alto”. Inoltre le componenti tradizionali del motore saranno smaltite per fare posto ad una potenza generata in gran parte dal sistema ERS, la parte ibrida: l’eliminazione di componenti chiavi quali le valvole del turbocompressore e le trombe dei collettori porteranno ad una standardizzazione sempre maggiore dei V6 che da 8 stagioni sono protagonisti della categoria. Ciò porterà ad una inevitabile variazione della potenza pura e di conseguenza ad un minore divertimento della maggior parte di piloti, che spesso si autodefiniscono “conservatori” sotto questo aspetto. Il tutto in nome di una politica “verde” solo di facciata, in virtù delle mire economiche di un mondo che abbraccia i più distanti partner.

Sostenibilità e Formula 1, le controversie del sistema

Prima di addentrarci in spazi puramente diplomatici dobbiamo indagare la parte logistica, quella degli spostamenti. Il calendario del 2023 (24 gare) nella prima parte si orienta tra medio oriente e sud est asiatico in maniera ragionevole salvo poi saltare nelle gare successive tra i diversi continenti: Baku-Miami-Imola-Monaco, Spagna-Canada-Austria, spostamenti che si misurano in diverse mila di chilometri inquinando a botte di jet privati i nostri cieli, in nome di un capitalismo di stampo americano a cui frega poco che tra Baku e Miami e tra Montreal e Barcellona ci sia un oceano di mezzo. Dopo la stagione europea, quella sostenibile, rieccoci in un romanzo di Jules Verne: toccata e fuga in Asia per poi volare dal Qatar alla volta di Austin, scendere in Messico, proseguire fino a San Paolo del Brasile e risalire nella commercialissima Las Vegas. Finita qui? No di certo, gli emiri attendono la sfilata ad Abu Dhabi accompagnata da fuochi d’artificio e finto champagne, per suggellare la fine di un giro del mondo fatto di trasferimenti transcontinentali durato ben più di 80 giorni. Eppure vogliono inquinare di meno! Bisognerebbe almeno limitarsi a rispettare un andamento logico delle gare, di continente in continente, senza che gli States possano lamentarsi per le loro 3 gare che verrebbero riavvicinate. L’aspetto diplomatico però è tanto più evidente: è possibile mai che lo stato maggiore del circus propagandi la “linea verde” salvo poi stringere accordi commerciali con stati islamici i cui guadagni derivano dal petrolio? Stiamo parlando del Bahrein, del Qatar – già nell’occhio del ciclone per l’organizzazione dei Mondiali di calcio 2022 – dell’Arabia Saudita e di Singapore. Questi stati oltre a far parte del grande “scatolone di sabbia”, legiferando sul petrolio, sono stati in cui oggi i diritti umani vengono calpestati totalmente; i diritti ai lavoratori, l’abbigliamento delle donne negli impianti, il comportamento che le coppie omosessuali devono tenere: tutto in nome dell’insofferenza dei sultani e degli emiri, ridicolo solo a pensarsi nel 2022. Chi manca all’appello? Ovviamente la Cina comunista di Xi Jinping, che tra nessuna luce e più di un’ombra ha aspettato di uscire (di facciata) dall’emergenza sanitaria, trasformata nel “nemico del popolo” secondo le scabrose immagini di isolamento e prelievo forzato che ci sono giunte. Se potesse non bastare questo, torniamo all’ambiente; la Cina, che con l’India forma una macroregione da 3 miliardi di civili, non solo inquina in un numero infinitamente più elevato di emissioni di carbonio rispetto all’Europa, ma non ha neanche in agenda futura un programma per ridurle o per arrivare ad una transizione ecologica. Per questo la F1 deve rivedere gli obiettivi del “Net Zero Carbon” – e non mi nascondo, mi piacerebbe molto – oppure tenere la mano tesa e la porta chiusa a quelle nazioni che non si allineano sotto questo aspetto. Perché o si cambia tutti insieme oppure la categoria non dovrebbe sbarcare in terre nemiche dell’ambiente e della società moderna. Se nessuna delle due strade verrà perseguita, potremmo semplicemente sentenziare che il termine circus sia il più adatto a descrivere l’ambiente della F1 targata Liberty Media.